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Lettera da Roma

L’URBE A TAVOLA

PAOLO CREMONESI - 07/11/2014

pizza mortazza“Mi dici un buon posto dove andare a mangiare?”. Questa domanda me la sento ripetere mediamente due o tre volte al mese dai milanesi o varesini di passaggio per Roma. E sempre mi vien da pensare al consolidato legame che negli anni questa città ha creato con il cibo. Una immagine confortata anche da recenti sondaggi che mettono l’esperienza di una cena al primo posto nel gradimento dei turisti. Intendiamoci, a Roma si mangia mediamente bene, a prezzi ragionevoli. Ci sono pochi grandi ristoranti e una miriade di locali regionali. La qualità degli alimenti, sopratutto frutta,verdura e formaggi è garantita dalle campagne circostanti. Molti ristoratori arrivano direttamente dall’Abruzzo, altri dalla confinante Ciociaria. Olio e vino sono garantiti dalla Maremma e dai Castelli. Il pesce da Fiumicino o dall’Argentario.

C’è una tradizione culinaria, anche se povera, ben conservata soprattutto nella sua accezione ebraica. Ci sono nomi che si richiamano direttamente all’Emilia, alla Campania, alla Toscana. Anche qui, precisamente all’Ostiense, c’è Eataly. Si può scegliere. Ma tutto questo non spiega il successo romano. E nemmeno la celebre immagine di Alberto Sordi che addenta gli spaghetti.

Con il passare degli anni mi sono fatto l’idea che i motivi alla base di questa eccellenza siano sostanzialmente due. Il primo è che anche a Roma come nelle grandi capitali europee come Londra e Parigi ci sono ristoranti da quattro forchette ma la qualità crolla appena si scende nella piramide del prezzo. Nella capitale invece permane un sostanziale equilibrio. È veramente raro imbattersi in un bidone, e una carbonara ben fatta la trovi ovunque…

La seconda spiegazione riguarda invece la “location”. Per lo più qui si mangia all’aperto. Le vie, le piazze, le fontane sono la cornice naturale del cibo. E questa è una esperienza non sempre ripetibile altrove. Si gusta e si guarda, se si è fortunati qualche brandello di una “grande bellezza”, se meno ci si accontenta dell’aria frizzantina e serena delle stagioni. Così si consuma un felice matrimonio tra qualità, estetica e popolo.

A proposito di quest’ultimo aspetto: per le strade di Roma scorrazzano da qualche tempo alcune “Apette” colorate di rosa a pois bianchi. Sul telone la scritta “Pizza e mortazza”. A bordo, un’affettatrice, salume IGP bolognese e focaccia rigorosamente bianca appena sfornata. Si formano subito file di clienti che riportano tra la gente un prodotto storico ormai difficile da trovare se non componendolo da soli . Questa è l’idea alla base della mini-avventura imprenditoriale di un giovane romano, Adriano Antonioli, che riscuote un grande successo grazie anche ad a una comunicazione efficace su social e internet. Un altro aspetto singolare della “cucina romana” ma anche una lezione di creatività per chi è alla ricerca di un’idea di lavoro.

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