Una vita che non gli ha risparmiato nulla. Una sorella, Fausta, sulla cui spalla ha appoggiato la rabbia e le speranze di una vita difficile, dove spesso non trovi il senso e dove diventa difficile ridere e piangere senza la preoccupazione di essere mortificato come disobbediente o maleducato. E’ la vita di un ragazzo che sente scivolare via quanto di più grande ha al mondo, il padre, la madre e tutti quei sogni sognati nelle camerate senz’anima dei collegi, dove le speranze s’incollano a pareti nude e bianche come quelle di una prigione, animato dall’unico sentimento di fuggire lontano, di andarsene via da quel mondo di povertà e di obbedienze scandite senza nessuna forma di umana comprensione.
Così Gigi Riva espresse la sua rabbia a Gianni Mura, su Repubblica del 5 novembre 2004: “E il peso, l’umiliazione di essere poveri, le camerate fredde, il mangiare da schifo, il cantare ai funerali anche tre volte al giorno, il dover dire sempre grazie signora grazie signore a chi portava il pane, i vestiti usati, e pregare per i benefattori, e dover stare sempre zitti, obbedienti, ordinati come dei bambini vecchi”.
E’ un Riva che esprime la tristezza di un mondo nel quale sono approdati migliaia di bambini senza sapere perché e ai quali la vita ha riservato momenti di smarrimento e di paura. Ma Gigi sa giocare a calcio e restituisce ai tiri mancini della vita il suo, unico, irresistibile, in una Sardegna che sente quel giovane come suo, che lo ama e lo invoca per uscire dalla penitenziale amarezza di chi si sente umiliato. E così diventa paladino di un’isola che riconosce in lui l’uomo cui affidare il riscatto.
Ecco come affronta il tema della madre nell’articolo di Gianni Mura: “Mi sarebbe piaciuto far vivere a mia madre una vita decente. È morta quando sono partito per Cagliari. Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna, o all’Italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere. Io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere”.
Gigi Riva, che venerdì 7 novembre ha compiuto settant’anni, non è solo il calciatore che “buca” le porte avversarie per affermare la legge dello sport, ma l’eroe di un’isola che si appella a lui per dimostrare l’altra faccia della verità. Furzelina diventa così l’immagine della regalità. Negli stadi il suo corpo si distende come un’onda di piena, si alza e scarica il suo impeto contro la rete avversaria. Un goleador incredibile: 35 gol in 42 partite della nazionale, 13 campionati consecutivi nel Cagliari, realizzando 156 reti in 289 matche, per ben tre volte capocannoniere in serie A, campione d’Europa e vice campione del mondo. La tempra del lottatore emerge sempre, anche in occasione di tre gravissimi incidenti. L’ultimo decreta la fine del calciatore e gli apre la porta della presidenza di quel Cagliari che gli ha regalato la gioia di vivere.
Parlare di Gigi Riva significa ripercorrere un mondo del calcio più umano, dove l’eroismo è nella duttilità di un carattere che lotta per affermare la forza e la bellezza della natura umana. E’ stato forza ed eleganza, bellezza e armonia, velocità e rabbia, impegno e professionalità. Quello di Gigi era il calcio del cuore e del cervello, proiettato oltre bieche forme di mercificazione umana. Era il calcio di Gigi Riva, il campione di Leggiuno che ha arricchito un mondo, vestendolo dei panni dell’umiltà.
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