Recentemente ho proposto una riflessione sulla nostra città partendo dalla sua immagine ottocentesca. Una Varese caratterizzata dalla sua attività commerciale e artigianale, dal sorgere delle prime attività industriali di rilievo. Con il suo centro urbano raccolto intorno a San Vittore, tra San Martino e Sant’Antonio. Con la realtà molto autonoma di Biumo e le castellanze di Giubiano, di Bosto, di Casbeno. Sotto, l’abitato in Valle Olona e, più in alto, Penasca. Intorno, i Comuni di Induno Olona, Sant’Ambrogio, Masnago, Bobbiate, Lissago, Capolago, Bizzozero e, più su, Santa Maria del Monte.
Gli abitati avevano quella compattezza che definiva l’appartenenza di ciascuno a una comunità. Le ville settecentesche avevano una propria distinta, aristocratica presenza immersa in parchi murati. Cresceva intanto una nuova borghesia con nuove edificazioni. Varese era bella e attraente e le ferrovie recenti consentivano di raggiungerla per risiedere e fare vacanza. A Villa Recalcati le grandi presenze di personaggi famosi in Europa e nel mondo che favorivano il richiamo di presenze borghesi nelle ormai numerose novità alberghiere e nelle nuove ville.
Sulle nuove vie, Cavour, Garoni (poi Vittorio Veneto), Veratti, Staurenghi, presso le stazioni ferroviarie apparivano i nuovi edifici dell’eclettismo ottocentesco romanico-rinascimentale e qualche bella villa Liberty.
Fino alla comparsa delle novità sconvolgenti dell’architetto Giuseppe Sommaruga sul colle Campigli e al Campo dei Fiori. E alla tragedia suicida della guerra 1914-1918, seguita da una crisi economica diffusa nel mondo.
La città aveva mantenuto la sua immagine misurata e composta fino a quel tempo. Ma nell’Europa si annunciavano nuove immaginazioni. Con le sorprendenti e influenti proposte di Le Corbusier, di Gropius, con i programmi nel dopoguerra di edilizia economica in Germania. In Italia andava formandosi una nuova generazione di architetti che il regime del ventennio impegna in varie realizzazioni frequentemente delegate ad esprimere l’ideologia fascista.
Varese diventa capoluogo di Provincia. I Comuni adiacenti vengono aggregati nel 1927. Il centro storico viene in parte demolito per ricavare l’attuale piazza Monte Grappa disegnata dall’architetto Loreti. Che ha una sua coerenza edificata se non si considera la torre littoria, simbolo del regime.
Il palazzo littorio nei pressi di villa Recalcati, sempre di Loreti, le abitazioni vicine degli impiegati dell’Amministrazione provinciale, gli edifici più ‘barocchi’ del Tribunale, di via Pasubio, di via Copelli dell’architetto Morpurgo hanno sempre il senso della misura nei confronti dell’intorno preesistente.
Imponente la palestra con la sede dei Vigili del Fuoco nell’attuale via XXV aprile (ieri via delle Vittorie) progettata dall’ing. Edoardo Flumiani Nella visione prospettica del bel viale alberato. Altri giovani architetti vengono a progettare in città. Con il palazzo delle Poste, la scuola di Valle Olona, la Casa del Mutilato, oggi sede dell’assessorato della cultura comunale.
Poi di nuovo la follia della guerra. Con la perdita di vite umane anche nella nostra città. Parte del complesso del Palace Hotel viene colpita dal bombardamento dell’aprile 1944. La vita riprende nel 1945. Con decisioni importanti come quella dell’acquisizione di villa Mirabello a integrazione splendida del parco Estense. Ma anche con l’avvio di una pianificazione urbanistica, e di iniziative immobiliari dai primi anni ’50, che avvieranno una serie di offese incredibili alla nostra città. Con edificazioni aggressive per altezza, dimensioni complessive, caratteri tipologici noncuranti. Una città delicata, fragile viene pesantemente alterata.
Varese e la Città reale varesina di oltre centocinquantamila abitanti devono affrontare oggi sfide impegnative. Di ruolo nell’ambito territoriale prealpino, che può riproporsi la valorizzazione della sua bellezza e della sua attrattività. Di ricomposizione ovunque possibile del tessuto urbano degli abitati che la compongono.
Le proposte edificatorie che vengono depositate in Comune non possono essere considerate distrattamente al di fuori del contesto urbano nel quale si intende collocarle. Volumi e la loro articolazione, tipologie edilizie, qualità delle superfici apparenti e dei loro colori, vanno rese compatibili con l’intorno esistente. Questa città deve diventare nuovamente bella
È necessario ripensare gli spazi di vita e di relazione con la difesa e valorizzazione dei percorsi pedonali, dei luoghi di sosta e di incontro con l’inserimento diffuso del verde e la cura del verde esistente. In presenza di ‘segni’ urbani riconoscibili e significativi di funzioni civili e/o religiose. Con la qualità elevata di ogni progetto aggiuntivo o innovativo anche promosso dall’iniziativa privata.
Occorre rendere più attenta, rigorosa, intransigente la verifica delle innovazioni. Questo è ancora più necessario in questa nostra epoca in cui le tipologie progettuali non sono più, come nell’Ottocento, contrassegnate da analogie discrete.
Oggi prevale infatti, frequentemente, la noncuranza per l’esistente in adiacenza, o l’esibizione del proprio progetto Si deve sottolineare invece il concetto della qualità e dell’armonia necessaria alla città, per la nostra appartenenza di affetto che ci aiuta nell’esperienza quotidiana. Ogni iniziativa di ricerca e difesa della presenza di bellezza urbana come quella promossa da alcuni studiosi varesini con il coordinamento del prof. Renzo Talamona è quindi opportuna e da sostenere.
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