Molti di coloro che lo scorso febbraio hanno rivisto il maestro Manzi nella fiction della RAI (con la regia del varesino Giacomo Campiotti) si sono lasciati prendere da una certa nostalgia. Per un bel periodo di costruzione del futuro come gli Anni Sessanta hanno saputo essere, per un modo di fare scuola allora decisamente innovativo ed inclusivo, per uno stile d’insegnamento che recuperava molto della tradizione pedagogica e la praticava. Dal 1960 per ben otto anni il maestro elementare più noto d’Italia e direi del mondo, giacché le sue trasmissioni sono state riprese e imitate in settantadue paesi, ha istruito attraverso la televisione gli analfabeti adulti, con indici di ascolto altissimi e portando al raggiungimento del la licenza elementare circa un milione e mezzo di persone, che altrimenti mai avrebbero potuto farlo.
Anch’io, allora bambina, ne conservo il ricordo: una grande dignità di fronte a una lavagna che campeggiava al centro del video, una sicurezza addolcita dalla passione per il proprio lavoro e una attesa che sapeva infondere anche in coloro che del suo corso “multimediale ante litteram” non avevano bisogno.
In questi giorni al maestro Manzi sono stati dedicati una scuola ed uno spazio culturale nella città calabrese di Catanzaro. Un fatto che in chi ama la scuola suscita interesse, emozione direi entusiasmo. Da un lato infatti viene riconosciuta la grandezza della quotidianità di una professione così particolare ed unica, come quella dell’insegnante di scuola, dall’altro viene riportata all’attenzione di tutti il valore educativo dell’inclusione e della scuola per tutti.
Quello che infatti il maestro Manzi ha saputo interpretare è stato il bisogno di cultura perché nessuno restasse indietro, schiavo del pensiero altrui, delle parole non comprese, dei diritti non vissuti. La scuola dell’inclusione è infatti, ieri come oggi, quella che sa dare concreta risposta ai bisogni di coloro che, per tante ragioni, rischiano di essere ai margini. Ieri erano gli adulti analfabeti, oggi sono i nuovi cittadini arrivati da altre terre.
A livello europeo e nazionale i punti di riferimento del percorso educativo e formativo del sistema di istruzione sono rappresentati dalle otto competenze chiave di cittadinanza attiva, obiettivi condivisi in ambito comunitario per il raggiungimento della partecipazione responsabile al sistema sociale, democratico ed economico: imparare ad imparare, progettare, comunicare,collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione.
Il cammino intrapreso nei paesi europei dai rispettivi sistemi scolastici implica attualmente una consapevolezza personale ed una autonomia tali da consentire di rispondere alle sfide del mondo globale, in particolare a quelle legate ad una istruzione che mai si ferma e prosegue lungo l’arco intero della vita.
Il maestro Manzi lo aveva intuito mezzo secolo fa, come ancor prima aveva fatto don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi di Barbiana, mettendo la propria passione pedagogica nella formazione di giovani svantaggiati per ragioni sociali ed economiche. La cultura rende liberi, consente la partecipazione responsabile alle situazioni del vissuto quotidiano, riduce ed elimina le soggezioni imposte dai poteri forti, contribuisce a costruire l’identità personale.
Nella scuola del terzo Millennio questa grande lezione è ancora incisiva, presente, scolpita nella pietra della formazione personale di molti insegnanti. Non basta la rivoluzione tecnologica ad eliminare il gusto e la passione per un ragazzo che apprende e costruisce passo dopo passo il proprio futuro.
Dedicare una scuola al maestro Manzi ha oggi questo significato: riappropriarsi del valore dell’educazione, della relazione come atto fondamentale dell’insegnamento, della valorizzazione del limite e dell’errore come opportunità per migliorare.
Significa rimettere la scuola al centro della vita sociale delle nostre comunità civili. Come dire in fondo che il maestro Manzi ancora insegna e che “non è mai troppo tardi” per restituire alla scuola la sua ineliminabile grande dignità.
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