Gufi o allocchi, non riusciamo ad uscire dal circolo vizioso delle metafore. A me piacciono abbastanza, le metafore, ma ormai non se ne può più, almeno quando si parla di economia e, accidentalmente, di politica. Vero che in politica la metafora l’ha sempre fatto da padrona, mescolandosi talvolta con altre figure retoriche, dall’apologo di Menenio Agrippa alle convergenze parallele di Moro (ossimoro), al partito di lotta e di governo di Berlinguer (ossimoro che sperava di diventare endiadi), allo smacchieremo il giaguaro di Bersani (metafora degna della pubblicità demenziale).
Giustamente si rimprovera a Renzi un eccesso di retorica, un allungamento della distanza tra lettura della realtà e racconto, un sovrastare del progetto rispetto alla decisione, del “dobbiamo fare questo perché il paese lo chiede” rispetto al dato materiale su cui costruire il provvedimento di governo. Forse però non si è capito che il cambiamento imposto rispetto alla logica introdotta dai governi Monti e Letta sta nel rapporto tra politica ed economia: è la politica che deve dettare l’economia o viceversa? La fine delle ideologie, avvenuta da un pezzo e rottamate da Renzi insieme alla vecchia classe dirigente del PD, con tanto di certificato di demolizione, ha veramente rovesciato l’ordine dei fattori, in questo caso cambiando radicalmente il risultato?
Oppure è solo un’apparenza, al massimo una verisimiglianza, che oggi tutto sia guidato da irresistibili leggi economiche, impersonate di volta in volta da Merkel, Schauble, BCE, Padoan, mentre, al contrario quello che definisce il provvedimento economico è ancora una volta il consenso elettorale che se ne trarrà?
E se non erano ideologie, quelle posizioni che si sono espresse alla Leopolda e a piazza san Giovanni, che cosa rappresentavano, solo differenti scelte di politica di bilancio? E mentre si scambiavano scortesie e Grillo vaneggiava di mafia corrotta dalla finanza perdeva clamorosamente a Reggio Calabria, si preparava l’irrilevante notiziola della bocciatura delle nove banche italiane tra quelle sottoposte agli stress-test, senza che nessuno, nemmeno un gufo, avesse temuto e previsto la reazione a catena sulla Borsa e sullo spread. Un fulgido esempio di primato della politica?
Credo si sia trattato, al contrario, di insufficienza della politica, che avrebbe dovuto prevedere e valutare gli effetti di quello che per l’economia era un semplice calcolo ragionieristico. Non riesco ad immaginare i titoli di Repubblica e simili, se i tonfi di lunedì fossero accaduti sotto un governo Berlusconi. Invece poco o niente. Eppure la faccenda è seria, la spirale di una progressiva perdita di fiducia, se si alimentasse anche per poco tempo, ci riporterebbe ai problemi del 2011. Non mi pare sbagli Francesco Forte (lo so, un economista fuori moda, un socialista della prima repubblica, anche lui bravo a far profezie post eventum) che trova spazio solo su www.Ilsussidiario.net, nel denunciare tra le cause del crollo la perdita di valore degli immobili conseguenti all’eccesso di tassazione e nell’indicare la possibilità che un nuovo ciclo di sfiducia verso il debito pubblico rifaccia partire un’onda speculativa con minaccia di default. Un gufone?
Gli allocchi, per i quali va sempre tutto bene, saremmo noi? Nell’editoriale del Corriere, Antonio Polito prova ad indicare una terza via tra i gufi e gli allocchi: “una classe dirigente consapevole della perdurante gravità dei nostri problemi”.
Bella idea, ma dove la troviamo, come la eleggiamo? Prima ancora che mandarla in politica, dove la troviamo, nelle banche e nelle imprese, nei sindacati e nelle università? Nei giornali e nei talk-show? O non sono questi stessi luoghi strategici della società privi anch’essi di un’adeguata “classe dirigente”?
Ahimè! La “terza via” è essa stessa una metafora, la “classe dirigente” pure. Ma abbiamo appena finito di imparare che il “governo dei tecnici”, che avrebbe dovuto dare il primato ai numeri rispetto alle parole, si è rivelato anch’esso un artificio (una metafora?) per definire un cambiamento politico, creando confusione tra fine e mezzi e preludendo al suo inevitabile fallimento elettorale.
La via è una sola: dire la verità, posto che la si conosca. Io non la conosco, non so misurare il rischio che incombe sul Paese, non mi sento di dare ragione in modo definitivo ai timori di Forte; non so se la sua cura seguirebbe la ricetta giusta. Mi pare però che stiamo rimanendo nella zona grigia delle mezze misure, del colpo al cerchio e del colpo alla botte, del non c’è più destra e sinistra, non c’è più questo e quello…
Con questo intendo liquidare Renzi?
Al contrario, il paradosso di oggi è: forza Renzi, basta retorica, scegli una strada e vai fino in fondo!
Ti giudicheremo dai risultati.
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