Caro direttore,
anni fa, da Assessore alla Cultura del Comune di Varese, invitai alla terza edizione del Premio Chiara due eccellenze mondiali nella ricostruzione storica e nel giornalismo: Giorgio Bocca e Denis Mack Smith. Questi si confrontarono sul tema ‘Unità o disunità d’Italia?’, con la mediazione dotta e appropriata di un varesino di eccellenza, il Professore universitario di storia Luigi Ambrosoli.
Era il 1991. La sala di presentazione fu quella dedicata ai convegni della Camera di Commercio di Varese sotto la quale era allestito il tendone che ospitava i librai varesini.
Ho cercato nel mio fascicolo della manifestazione, ma non ho trovato né lettere di invito o messaggi di conferma.
Avevo del resto ripetutamente parlato per telefono sia con Bocca che con Mack Smith ed entrambi non avevano avuto bisogno di inviti formali per venire nella nostra città.
Giorgio Bocca, amico di amici dei miei genitori, presentava l’allora suo ultimo libro ‘La disunità d’Italia’. Lo storico inglese Denis Mack Smith (altro amico di amici dei miei genitori) aveva studiato ed era stato anche teorico dell’unità di Italia.
C’era, pertanto, il motivo che giustificasse il contendere. Ricordo molto distintamente che Bocca e Mack Smith avevano voglia di parlarsi assieme e provavano stima l’uno per l’altro. Avevano perciò una manifesta esuberanza a confrontarsi.
La stessa effervescenza me la dimostrò il professore Luigi Ambrosoli per l’occasione di attendere a quest’incontro.
Il salone della Camera di commercio di Varese fu gremito. Mack Smith rimase ancora a Varese qualche giorno e incontrò al cinema Politeama gli studenti varesini delle scuole superiori.
Cito l’articolo di resoconto dell’avvenimento scovato dall’emeroteca di Varese sul Luce del 26-5-91 a firma Attilio Farfaletti: «Non ho stima dal punto di vista culturale per la Lega, ma non potrebbe essere altrimenti perché ogni movimento alla nascita non può essere aristocratico. Trovo, comunque, utile la sua presenza per scardinare il sistema partitocratico su cui poggia lo Stato».
Le parole sono di Giorgio Bocca, a Varese martedì scorso in occasione del Premio Chiara. Il ragionamento non è nuovo, anche Indro Montanelli l’ha fatto proprio dalle colonne de «Il Giornale»: nessuna parentela politica con gli autonomisti, ma simpatia, ed anche qualcosa di più, per la loro protesta antisistema.
Del resto l’analisi del Sud fatta da Bocca, giornalista autorevole e amante del paradosso, è stata impietosa: «Oggi assistiamo ad una meridionalizzazione dei partiti, perché al Sud il voto di scambio arriva a percentuali altissime… il sindaco di Taurianova (dove è stato recentemente fatto il tiro al bersaglio con una testa mozzata n.d.r.), ha detto che nella sua città la mafia non esiste… lo stemma stesso di Racalmuto (paese natale di Sciascia) raffigura un uomo col dito alzato con la scritta «silenzio»… a Napoli il 15% di quanto si spende per la sanità serve per pagare quanto è stato rubato».
Sono solo alcune sconsolate battute del noto columnist che ha proposto una terapia sportiva contro la mafia: fare pressing. Vale a dire controllare movimenti, conti in banca, appalti dei presunti mafiosi. Ma con continuità. Speranze limitate, comunque, a giudizio di Bocca.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’analisi di Denis Mack Smith, anzianotto storico inglese specializzato su Risorgimento e dintorni, che ha sottolineato i particolarismi della penisola, dando implicitamente ragione al cancelliere austriaco Metternich, che definiva l’Italia solo «un’espressione geografica».
Patriottismo, quindi, non come causa, ma come conseguenza del nostro Risorgimento, del resto – ha concluso lo storico inglese – nell’epiche battaglie risorgimentali di Magenta e Solferino non morì un italiano» ma solo francesi. Gli unici connazionali che ci lasciarono le penne, combattevano nell’esercito austriaco.
Una smitizzazione che sta facendo discutere e che sta toccando ora anche la Resistenza. altro argomento tabù.
«Ogni anno che passa – ci ha detto Mack Smith – vedo diminuire l’aspetto celebrativo ed aumentare l’approccio storico alla Liberazione».
Arturo Bortoluzzi
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