Cornelis Jannsen (Giansenio, 1585-1638), teologo e vescovo belga di Ypres, ma olandese di origine, continuò per tutta la vita lo studio di Sant’Agostino in ordine al problema della salvezza. Lettore ordinario di Sacra Scrittura all’Università di Lovanio, ne divenne rettore nel 1635 e nell’anno successivo vescovo di Ypres.
Nell’opera principale Augustinus, iniziata nel 1627 ed edita, postuma, nel 1641, sottolinea la corruzione fondamentale dell’uomo a seguito del peccato originale d’Adamo e da lui trasmessa a tutte le generazioni. La concupiscenza induce invincibilmente al male l’uomo; solo in virtù della grazia è in grado di adempiere la volontà divina. Adamo, in un primo tempo libero, poté peccare perché aveva solo la grazia sufficiente (auxilium sine quo non), poi ha avuto bisogno per ogni atto buono della grazia efficace (auxilium quo), che determina la volontà in modo infallibile. I suoi non sono altro che peccati, se non interviene la carità o amore celeste. Due possono essere gli amori che nutre (duplex delectatio) o verso la terra o verso il cielo, o schiavo dell’una o dell’altro, senza merito o demerito personale per la salvezza. Solo che Cristo è morto per i soli predestinati, gli eletti. La libertà per Giansenio significa soltanto esenzione da violenza esteriore o da coazione fisica.
Anche per Michele Baio (1513-1589), ispiratore di Giansenio, l’uomo prima del peccato originale godeva di una condizione di integrità naturale, che gli consentiva di elevarsi a partecipare della natura divina, mentre il suo libero arbitrio dopo la caduta è capace solo di peccato; lo redime esclusivamente la grazia, forza integrativa della natura. Ricorre anche in Baio la teoria della duplice dilettazione di agostiniana memoria, rigidamente interpretata: vitiosa cupiditas e laudabilis charitas, amore retto eccitato dallo Spirito Santo. È da lui anticipata la concezione di Giansenio per cui nell’ordine gerarchico il Papa è solo patriarca universalis, non episcopus universalis.
Giansenio sviluppa una vivace polemica contro il molinismo, che si ispira alle idee del gesuita spagnolo Luis de Molina (1536-1600), autore della Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis, divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione (1588), corrente particolarmente presente nell’ambiente di Lovanio tra i gesuiti. Ricorrendo al concetto di scientia media, grazie al quale cerca di conciliare l’onnipotenza della volontà e della grazia divina con la libertà umana e l’universalità della grazia, il molinismo afferma che in virtù della supercomprensione della scientia media Dio spartisce la sua grazia secondo la previsione della libera risposta della creatura, ma non dipendentemente da essa. Per il molinismo la libertà umana non è stata distrutta né ferita dal peccato originale. Perché si salvi però l’uomo deve essere assistito dalla grazia soprannaturale.
Mentre Giansenio si occupa sostanzialmente degli aspetti dottrinali, il giansenismo francese nella dottrina della grazia si preoccupa particolarmente degli aspetti morali e pratici in direzione ascetica e nella disciplina dei sacramenti. Si distinguono nella corrente Blaise Pascal e Antoine Arnauld, dottore alla Sorbona nel 1641, ma espulso nel 1656 perché giansenista; formula la teoria del “silenzio rispettoso” verso l’autorità ecclesiastica, che favorisce la cosiddetta “pace della Chiesa” (1669-1677); aggiunge alla teoria sulla grazia una morale sacramentaria (De la fréquente communion). Blaise Pascal elabora un progetto di riforma della pietà in senso ascetico e rigoristico contro i gesuiti, accusandoli per la loro morale lassista e la pratica della casistica. Rappresentanti principali sono altresì l’Abate di Saint-Cyran, che fece dell’abbazia di Port-Royal il centro del giansenismo con una disciplina penitenziale degna degli antichi tempi cristiani e Pasquier Quesnel, che elabora una metodologia esegetica (Réflexions morales). Fénelon definisce il movimento cousin germain del calvinismo.
Urbano VIII nel 1640 proibisce la diffusione dell’Augustinus e nel 1643 interviene con la bolla In eminenti a condannarlo come motivo di disordine e scandalo. Nel 1653 la sanzione è ribadita da Papa Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili) con la costituzione Cum occasione, ma una sostanziale riabilitazione si ha ai tempi di Clemente IX (Giulio Rospigliosi) nel 1669. Vivo è il risentimento antigerarchico limitativo del potere pontificio (il Papa primo tra i vescovi per dignità, ma non in autorità; inferiore e subordinato al Concilio). Mentre la Compagnia di Gesù esprime un orientamento verticistico, autoritario, gerarchico, i giansenisti esprimono una concezione ecclesiologica alimentata dallo spirito comunitario. L’istituzione parrocchiale è vista come centro di rinnovamento della vita religiosa.
Con la bolla Unigenitus dell’8 settembre 1713 Clemente XI censura definitivamente gli errori distinti in 101 proposizioni di Baio, Giansenio, Arnauld, Quesnel con quelli dei gallicani. La bolla Unigenitus incontra il rifiuto di registrazione da parte del Parlamento di Parigi (appello di alcuni vescovi a un Concilio generale, esaltazione dell’autonomia dei vescovi dalla curia), ma il giansenismo conosce invece simpatie da parte di Benedetto XIV (Prospero Lambertini). A differenza del giansenismo francese ribelle alla monarchia e all’involuzione assolutistica, quello italiano si caratterizza per le aspirazioni a un’autentica riforma religiosa, con punti di riferimento nella sacralità della figura dei sovrani, nell’uso del volgare in alcune devozioni e contro le compromissioni mondane del cattolicesimo. È da chiamare in causa in Toscana il sinodo di Pistoia con il vescovo Scipione de’ Ricci, le cui proposizioni saranno condannate da Pio VI con la bolla Auctorem fidei nel 1794.
Resteranno del giansenismo il lascito di una psicologia inquieta e inquietante, un pedagogismo pessimistico, un criticismo ecclesiastico e anticurialistico. Sul concorso divino e umano per la salvezza equilibrata appare la soluzione offerta da Francesco di Sales.
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