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Attualità

CITTÀ GIARDINO ADDIO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 24/10/2014

sabbioneta

Pianificazione urbana nel ‘500: Sabbioneta (Mantova)

La mobilità urbana è un rebus, a Varese come altrove. L’aumento del traffico deriva dalla dilatazione della città ma, a sua volta, l’espansione urbana è stata causata dal progresso dei mezzi di trasporto.

Quando si andava a piedi i confini delle città erano racchiusi entro le antiche mura medioevali; con l’avvento delle carrozze è cominciata, soprattutto a Varese a causa della sua vicinanza con la metropoli milanese, la “civiltà della villeggiatura”. La costruzione delle tranvie, ai primi del Novecento, ha segnato la forma e la dimensione della città fino a includere i piccoli Paesi vicini; è nata la “grande Varese”, ma dopo i capolinea dei tram c’era l’aperta campagna.

L’avvento della motorizzazione di massa, dopo la seconda guerra mondiale, ha disperso la città in vasti spazi, annullando la distinzione tra la città e la campagna, tra il dentro e il fuori; i due fenomeni, mobilità ed estensione urbana, si intrecciano e si condizionano a vicenda.

Si è cercato di regolare il traffico con nuove strade, tangenziali, sopraelevate, parcheggi che spesso si sono inseriti con violenza nel fragile tessuto urbano e non hanno migliorato le criticità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la “città dispersa” in vasti territori non è più dominabile neppure nei suoi aspetti tecnico-funzionali; traffico e inquinamento aumentano, la cementificazione del territorio è la prima causa delle calamità ecologiche e i danni sono sempre più frequenti e gravi.

Lo sviluppo alternativo consiste nel perseguire un diverso modello di “città compatta” racchiusa in uno spazio limitato e circondata da una cintura verde (“green belt”). La logica di adattare la città all’automobile è vecchia e non è stata produttiva di risultati positivi; infatti lo sviluppo urbano non è più generato da tendenze interne ma da impulsi esterni specialmente di origine speculativa. La città è diventata un bene durevole e l’edilizia è la componente più evidente dell’ideologia consumistica; lo spontaneismo dei cittadini non è più sufficiente ad assicurare l’equilibrio della città e a sottrarla dal pericolo della progressiva cementificazione e della congestione.

Occorre che gli abitanti condividano un’idea di città come luogo di relazioni sociali e un progetto urbano che nasca dalla collaborazione degli abitanti ”informati” e delle autorità attraverso la partecipazione resa possibile dalla politica, dai partiti e dalle associazioni. Metà del traffico urbano è generato dalla segmentazione della città in zone distinte: residenziali, commerciali, scolastiche e di divertimento. Se gli edifici a uso pubblico o i “non luoghi”, come i supermercati, fossero ubicati in armonia con la quotidianità; se la città fosse multifunzionale e non segmentata in comparti “specializzati”; se fosse contenuta in dimensioni compatte, i percorsi sarebbero più brevi. La “città densificata”, diversamente da quella “dispersa”, potrebbe essere raggiunta in tutti i punti dai mezzi di trasporto collettivo come alternativa meno costosa all’uso dei mezzi individuali.

La città moderna è l’esito di risposta ai problemi di cui facciamo fatica a cogliere il nesso e il senso, ci si sofferma sulle conseguenze ma siamo incapaci di risalire alle cause.

Che fare?

Il progetto di una “città compatta” deve prevedere alcune condizioni imprescindibili: lo stop definitivo all’espansione e alla cementificazione; la densificazione e la riqualificazione del centro storico, delle castellanze e delle periferie; la protezione delle reti verdi e dei parchi interni; la salvaguardia del patrimonio ambientale, monumentale e artistico della città; la creazione di percorsi pedonali e di spazi di prossimità; la priorità del mezzo collettivo di trasporto.

Per impedire il degrado e recuperare il senso della città occorre seguire poche ma essenziali regole: Anzitutto la multifunzionalità: la città non deve essere frammentata, segmentata, divisa per comparti; la frammentazione della città in luoghi separati rompe l’equilibrio urbano e la coesione sociale. A seguire, il criterio della continuità: la città è un “unicum” territoriale, la dilatazione degli aggregati urbani fa sparire la città; la “città dispersa” non è più dominabile neppure nei suoi aspetti tecnici e funzionali; i disastri ecologici a cui assistiamo ne sono la prova evidente. Alla “città dispersa” va contrapposto il modello della “città compatta”, racchiusa in uno spazio ragionevolmente limitato e creare intorno ad esso una barriera verde (“green belt”).

Ancora, la riconoscibilità: la città deve essere facilmente identificabile per forma e contenuto; ogni città ha una sua specificità. Si deve tutelare e valorizzare il paesaggio, l’ambiente, i monumenti, i parchi, le tipologie architettoniche; non basta salvare un albero o un giardino (anche se la mobilitazione dei cittadini è importante perché ne accresce il senso civico); se si disperdono i valori storico-ambientali avanza la disgregazione culturale con la perdita di valori e tradizioni comuni; si indebolisce la convivenza civile ed emergono comportamenti devianti e violenti come rottura di un antico sistema di tolleranze reciproche.

La vocazione della città deriva dalla sua identità; la città è il luogo in cui la comunità si riconosce; la politica deve recuperare la funzione di far maturare nei cittadini la capacità di leggere la realtà urbana come un tutto organico che si lega ad un mondo universale.

Sulla città, la “polis” è stato plasmato nei secoli l’archetipo dell’idea di politica. Se va in crisi lo spazio urbano si corrompe anche la sfera pubblica dove si organizza la vita collettiva, viene meno la ragione unificante del convivere e si perde il vincolo di una meta comune.

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