Li chiamano i “Capodanni dello Spirito”. Da Taize’ al Sermig, passando per centinaia di parrocchie italiane, sono gli appuntamenti dell’ultimo dell’anno per chi, invece di evadere dalla realtà, vuole entrarvi ancora più a fondo.
Il mio si è svolto alla Fraternità San Carlo di Roma. Incastonata tra i quartieri di Selva Candida (che quest’anno insieme a San Basilio ha detenuto il record negativo per feriti da botti) e Boccea dove la capitale dirada in campagna e le pecore contendono il terreno agli ultimi cantieri, la Fraternità è una piccola oasi di bellezza e rigore. Il suo tratto distintivo, cui non sono estranei ormai diversi varesini, è un’ amicizia mai banale ma sempre guidata in ogni suo gesto al Destino.
È stato così anche per la sera dell’ultimo dell’anno dove questa giovane realtà missionaria ha voluto offrire a una settantina di seminaristi e ad alcuni loro amici un cenone davvero particolare.
Alla base di tutto, l’incontro tra il rettore americano Jonah Lynch con il regista Andrea Chiodi (figlio del nostro indimenticabile Carlo) e la moglie Angela, anch’essa autrice e attrice. Ne sono nate tre ore e mezzo di serata dove tra un crostaceo e un monologo, un risotto e una ‘piéce’, abbiamo trascorso le ultime ore dell’anno in compagnia di Manzoni, Milosz, Shakesperare, Mc Carthy, Wilder.
Una cena in perfetto stile veglione: tavoli accuratamente apparecchiati, illuminazione soft, portate di tutto rispetto (un plauso particolare dal sottoscritto ai passatelli al sugo di pesce) e brani di teatro recitati, grazie alla preparazione e alla pazienza di Andrea e Angela, direttamente dai seminaristi. Poteva capitare così che mentre conversavi amabilmente con i commensali, nel tavolo accanto scoppiasse la rissa all’origine del primo quadro del “Miguel Manara” o che al momento del dessert facessero la loro comparsa Maria, Giuseppe e l’irresistibile asino di “The flight to Egipt”.
“Sunset limited” “Miguel Manara” “I Promessi Sposi” “Amleto” “The flight to Egypt” appunto, le opere scelte per i brani. La recita del “Te Deum” alle soglie della mezzanotte ha concluso la serata.
Certo non tutti i seminaristi sono ugualmente bravi. E c’è chi nel suo futuro farà meglio a concentrarsi solo sulla predicazione (d’altronde soltanto un attore è diventato sacerdote e solo uno è diventato Papa). Ma nell’insieme il capodanno ha funzionato. Soprattutto quando, a parere di chi scrive, si è colmato a un certo punto il divario tra testo e commensale, pubblico e autore. Nel vedere chi ti stava accanto diventare improvvisamente attore maturava la consapevolezza dell’immedesimazione. Mi sono trovato così a pensare: “Ma io sono Manara, affamato di donne… io sono l’Innominato con l’inferno dentro che nessun potere può spegnere… io sono ‘il Bianco’ imprigionato nella gabbia della mia ragione positivista”.
Molti anni fa, durante il periodo dell’Università, un altro regista varesino, Mauro Campiotti, mise in scena “Il Maestro e Margherita”. Per comunicare l’idea che testo e spettatore nel teatro sono uniti fece dipanare da ogni singola sedia della platea un sottile filo che raggiungeva il palco. Pochi giorni fa questi fili si sono fatti carne e pubblico e attore sono diventati per una sera la stessa cosa: non è cosa da poco.
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