Si sta riscoprendo il valore e la gioia di una vita “slow”. Ai nostri giorni si devono usare termini stranieri perché ritenuti più sintetici. Vivere slowly si deve dire, se non vuoi fare la figura dell’arretrato. Se non t’interessa per niente sfigurare, allora puoi usare il nostro italiano. Non sarebbe più bello? Vivere lentamente. “Lentezza e lentamente” già col loro suono, già onomatopeicamente ascoltando, mentre le pronunci ti danno il tempo di pensarci su, di gustare il loro scorrere lento.
Slow: non fai tempo a dirlo, che già è finito. È un lento veloce …
Molte cose della vita, per poterle godere meglio, vanno apprezzate, vissute in lentezza. Per esempio la lettura di un buon libro va fatte lentamente. Piano piano. Tornare a rileggere un paragrafo e dopo chiudere gli occhi e gustare mentalmente quanto descritto. Magari un paesaggio: il cielo con qualche nuvola, candida e con sfumature indaco, alberi e prati dal verde riposante, la protagonista che cammina pensierosa, il volto incorniciato da capelli biondi … no, voglio pensarli naturalmente rossi … ma l’autore ha scritto che … non me ne frega, io li voglio diversi. Gli esempi di quanto ti può permettere la lentezza potrebbero essere tantissimi. L’originalità di un concetto. Le parole che s’incoronano artisticamente espressive.
Altro esempio: la gioia di ricevere una lettera, di aprirla magari con qualche trepidazione, e leggerla e rileggerla piano piano. Prendere la penna e rispondere, vergando lentamente il foglio.
Ma la tecnologia ci ha tolto questo. Hai davanti uno schieramento ordinato di tasti che comprimi e di fronte, su un piccolo schermo, compaiono lettere chiare, lineari, semplici che compongono le parole. Non sono venute più fuori dalle sinuosità della tua mano. Addirittura puoi solo parlare e la tua voce si trasforma in scrittura. Certamente i contenuti li mette sempre il tuo cuore, la tua sensibilità, ma l’universo degli elettroni, che i tuoi sensi non possono percepire, si muove veloce ed ordinato dentro le schede della scatoletta che hai davanti, e si esprime ai tuoi occhi sul freddo schermo, non frusciante come la carta. La gioia di immaginare, di pensare, di gustare, gli elettroni te la sparano davanti di colpo. Due-tre-quattro parole e poi “pam”: prendi! La foto del paesaggio, il ritratto crudo della protagonista, magari brufolosa e dai capelli secchi e con le punte doppie. Questi benedetti elettroni ci rendono veloci, sintetici, criptati, in tutt’altro che romantici SMS oppure in e-mail un pochino più lunghette, ma sempre tutte fredde, frettolose, veloci come la luce, ma come la luce spaventosamente fragili. È sufficiente un corto circuito, o più banalmente un tasto sbagliato, che si cancella tutto.
La carta della lettera aveva un suo odore, magari anche un profumo. Invece davanti alla foto della protagonista ti vien da pensare che magari quella lì ha appena gustato dell’aglio… Sì, ma se la foto che arriva è della tua amata, pensi ad altri profumi, è vero! Ma la lettera coinvolge maggiormente i tuoi sensi, non c’è dubbio.
Nella vita ho ricevuto lettere. Forse, da petulante grafomane, ne ho più mandate. Ora ricevo solo buste con dentro bollette della luce, del gas, inviti a pagamenti, tutti fogli cosparsi di numeri. Qualche volta parole, ma ordinate in strane ed incomprensibili sintassi, interpretabili solo da specialisti, come il commercialista. Non più affettuosità, per esempio: “Caro cittadino, hai posteggiato dove non si doveva il tuo motociclo. Per educarti e per rammentarti di non farlo più versa ora questo contributo nelle casse del tuo affettuoso e paternalistico Comune, che si preoccupa tanto del tuo civismo”. No! C’è dentro uno scontrino, uscito da stampante elettronica portatile, con due parole ed una cifra, e che non puoi nemmeno conservare, perché la vergatura sulla così detta “carta chimica”, anche se tenuta al buio, si cancella dopo qualche mese.
Quei benedetti elettroni, circa la cui esistenza hai sempre forti dubbi perché i tuoi sensi non li percepiscono direttamente, ma che fanno venir fuori le parole sullo schermo, come dicevamo, hanno fatto sì che i tempi diventino veloci in tutto, ma paradossalmente la burocrazia e la giustizia sono diventate molto più lente. Loro che dovrebbero essere, per il nostro benessere, molto più veloci; non pretendiamo come gli elettroni, ma almeno come le lettere passate, sempre che le “poste” funzionino correttamente, sia quelle statali che quelle private.
Valla a capire questa realtà
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