Di norma nessun sacramento si può celebrare da soli e nessuno è mai semplicemente uno spettatore, ha un ruolo passivo…
Nella Confessione i celebranti sono due, perché confessore e penitente sono co-protagonisti di un unico evento di salvezza.
Dovrebbe risultare chiaro fin dalle prime battute che anche qui, come in ogni altro gesto salvifico, si proclama una “buona notizia”, si sperimenta la “gioia del Vangelo”! Di conseguenza tutti gli elementi rituali devono essere valorizzati per comunicare correttamente e incisivamente il “deposito della fede”.
Se il rito – come insegna Sant’Agostino – è veramente un “visibile verbum”, cioè una parola di verità che si rende visibile, non dovrebbe essere in contraddizione con ciò che viene affermato teoricamente, se non per le inevitabili inadeguatezze dei segni umani.
È dunque da ribadire – una volta per tutte – che va bandito nella amministrazione di questo sacramento lo stile “inquisitorio” che, purtroppo, persiste nell’immaginario collettivo di tanti fedeli.
“Nell’accogliere il peccatore penitente e nel guidarlo alla luce della verità, il confessore svolge un compito paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre ed impersona l’immagine di Gesù, buon Pastore” (RP 10c).
Tutta la Chiesa, infatti, è, in quanto tale, destinataria della riconciliazione (ha bisogno di essere sempre lei pure purificata) e al tempo stesso diventa strumento di riconciliazione tra e per gli uomini di ogni tempo (attraverso il ministero sacerdotale, che agisce in rappresentanza di Cristo). Come uomo e come sacerdote anch’io mi sento partecipe del cammino di conversione di ogni penitente che incontro e sperimento in me molto viva la gioia del Padre per il ritorno di ogni figlio a lui e ai fratelli. È l’insegnamento che emerge in modo particolarmente incisivo dalla parabola del Vangelo della misericordia (Luca 15).
“Il Dio invisibile, ma personale, non è incontrato a prescindere da qualsiasi presenza umana: dal volto del vicino si sale a quello di Dio. Non può esserci alcuna conoscenza di Dio a prescindere dalla relazione con gli uomini. ‘Altri’ è proprio il luogo della verità metafisica, indispensabile nel mio rapporto con Dio”. (Lévinas)
C’è anche una dimensione particolare che distingue radicalmente il sacramento della Penitenza da qualsiasi atto giudiziario umano. Ciò che conta maggiormente nella dinamica di questo gesto liturgico – e che è motivo di serenità e di gioia profonda – non è tanto ciò che in passato si è fatto di male (da cui peraltro veniamo totalmente liberati), quanto piuttosto ciò che in futuro si intende fare di bene (il cosiddetto proposito, che segna l’inizio di una vita nuova). Questo proposito in qualche modo potrebbe (o dovrebbe, soprattutto nel caso di possibile riparazione) interferire con la penitenza (detta anche soddisfazione).
Non si tratta affatto di “pagare una multa” per gli errori in cui si è incorsi, ma di “ricambiare un regalo”, rispondendo al dono ricevuto (la grazia sacramentale) con un impegno maggiore a vivere una vita davvero fedele al Vangelo, pur nella consapevolezza delle nostre limitate capacità, dato che fragile è la nostra umanità.
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