Il 13 ottobre alcuni studiosi ed esperti di storia dell’architettura hanno presentato la ristampa di un affettuoso percorso fotografico attraverso il liberty varesino. L’opera risale al 1967 per la stampa de La Tipografica Varese e la ristampa, oggi, di Edizioni Lativa. Con la collaborazione della Fondazione Comunitaria del Varesotto e dell’Ordine degli Architetti di Varese.
Il termine liberty deriva dal nome dei magazzini londinesi di Arthur Lesemby Liberty che negli ultimi decenni dell’Ottocento si erano specializzati nella vendita di stoffe e manufatti delle scuole artigianali inglesi che erano sorte sull’esperienza di William Morris e del Movimento Arts and Craft.
Si creò progressivamente una corrente di gusto definita con il termine di Art nouveau presente anche in Italia verso la fine del secolo. Con un percorso che dal nuovo gusto decorativo arriva a caratterizzare anche l’architettura, superando l’eclettismo successivo al periodo neoclassico.
Varese, i laghi, le falde del Campo dei Fiori, il nostro Sacro Monte diventano in quegli anni luoghi ambiti per la residenza, soprattutto nella bella stagione, della nuova borghesia industriale e commerciale del Varesotto e del Milanese.
La presenza ormai pluridecennale di luoghi di offerta alberghiera come era in particolare Villa Recalcati, in vista dei laghi e delle Alpi favorisce nuove edificazioni di ville caratterizzate dalla novità dello stile, più comunemente definito come “floreale”.
Ma notevoli architetti a Milano, Torino, in Sicilia attenti ai nuovi sviluppi espressivi che alcune esperienze tedesche e austriache presentavano, proponevano visioni nuove e sorprendenti. La Belle Epoque si esprimeva con i suoi desideri di libertà e le sue illusioni con nuove immaginazioni, libere dalle regole del passato.
Varese rivela ancora oggi testimonianze di questa storia, che l’orrore, la follia della prima guerra mondiale interrompe definitivamente.
Un grande architetto, Giuseppe Sommaruga viene chiamato per il progetto del Grande Albergo Campo dei Fiori, desiderabile e raggiungibile per mezzo della funicolare; del Palace Hotel, dopo l’architetto Moretti vicino alla città. La società Grandi Alberghi di Milano, presidente l’industriale varesino Tito.Molina, ritiene che il tempo di Villa Recalcati sia ormai scaduto e che nuove offerte vadano proposte.
Ma la guerra si oppone alle nuove splendide offerte con la perdita di quella comunità culturale europea distrutta dall’imperio delle prepotenze dei ceti politici e militari. Le penalizza senza possibilità di recupero nella crisi economica del primo dopoguerra. Il grande Hotel Campo dei Fiori e il suo splendido ristorante sono silenziosi testimoni di quell’epoca, delle sue visioni, delle sue speranze.
La bella stazione di arrivo della funicolare, opera del grande artista del ferro Mazzacutelli, è crollata nell’indifferenza delle istituzioni. Come la scala di accesso al vicino ristorante recentemente protetto indecentemente da una nuova copertura in tegole di cotto chiaro.
Il Palace vive la sua vita più modestamente di un tempo. Ma dignitosamente, nonostante l’amputazione di alcune sue parti a causa del bombardamento aereo del 1944. Non si capì, nel dopoguerra, la opportunità della reintegrazione delle parti danneggiate che vennero demolite. Si è così perduta la complessità e la qualità dell’insieme progettato dal Moretti e dal Sommaruga.
Il liberty varesino, così ricco e diffuso sul nostro territorio, ha perduto numerose presenze per demolizioni, mancate protezioni definibili dai Piani regolatori e dalle loro varianti, offese derivanti da edificazioni noncuranti adiacenti. Non si sono solo perdute delicate testimonianze di committenza e di progetto. Si è perduta la presenza di un mondo in cui si era creduto, contraddistinto dal confronto, dalla appartenenza culturale condivisa in questa nostra Europa ancora oggi così incerta sul suo futuro.
Nel 1967 Piero Chiara nella presentazione dell’edizione di allora di ‘Addio Liberty’ scriveva:
“…Le città che si espandono e crescono, rispettando qua e là una facciata, un portale,una cancellata segnata dai suoi caratteri. Il decrepito stile non è privo di superstiti suggestioni e talvolta contagia un profilo architettonico, ispira una soluzione decorativa, insinua un suo sperduto elemento nel rigido schema delle nuove costruzioni. In provincia, dove sopravvive nelle ville, negli alberghi, negli opifici, nelle tombe di famiglia e nelle funicolari in disarmo, l’incuria e l’indifferenza l’hanno preservato dalle riesumazioni e giace tra il verde, come il cadavere di una vecchia attrice…”.
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