Il legame con il Sacro Monte di Varese e con il monastero delle romite ambrosiane fu particolarmente cordiale sin da quando Giovanni Battista Montini (Concesio 1897 – Castel Gandolfo 1978) fu arcivescovo di Milano tra il 1954 e il 1963, l’anno dell’elezione al soglio di Pietro. Sulla montagna dedicata al culto della Madonna nera, salì spesso per parlare ai lavoratori delle ACLI affrontando i temi della fede, del lavoro, della giustizia sociale. E da arcivescovo dovette subito risolvere un singolare problema d’abbondanza: l’aumento delle vocazioni rendeva necessario trovare una sede aggiuntiva per le Romite del Sacro Monte di Varese.
Ne parlò nel corso di una visita al monastero che compì nel mese di settembre del 1961. La prima ipotesi fu di aprire una casa a Comabbio, il piccolo centro lacustre a sud-ovest di Varese; poi pensò a Beverate, tra Lecco e Monza, dove monsignor Ettore Pozzoni, vicario diocesano per le religiose, segnalò “una bella casa con ortaglia, giardino coltivato, galline, conigli e ventuno mila metri quadrati di terreno adatto per le varie necessità”. L’8 settembre 1962 fissò infine un appuntamento con monsignor Pozzoni e con le reverende madri alla Bernaga di Perego, nella Brianza lecchese, per una visita agli immobili di un antico ex monastero benedettino.
Era finalmente il posto giusto. Il 28 novembre don Giovanni Premoli, parroco di Perego, fu ricevuto in parlatorio per avviare le pratiche necessarie. Il 3 dicembre monsignor Pozzoni radunò le capitolari di Santa Maria del Monte e nominò ufficialmente le dieci monache che avrebbero dovuto trasferirsi alla Bernaga e cioè l’abbadessa suor Maria Veronica Nebuloni, la vicaria, economa e maestra delle novizie suor Maria Candida Casero, cinque monache professe e tre novizie. La Bernaga si configurò come un monastero “sui iuris”, autonomo rispetto all’originaria sede di Santa Maria del Monte.
Già in occasione della visita pastorale nella parrocchia, il 16 maggio 1961, Montini aveva incontrato le monache, visitato il monastero e rivolto loro una breve esortazione. “Continuate a conservare il rito antichissimo del grande Sant’Ambrogio, bellissimo e che vi dà il diritto al vostro nome di Romite Ambrosiane. Siate entusiaste e la liturgia da voi amata, gustata, vissuta nei suoi salmi, inni, preghiere, ravviverà sempre di più la vostra intimità con Dio. Siate Sante nell’umile e silenziosa, costante e serena vostra immolazione di ogni giorno, di ogni momento e così darete gloria a Dio e sarete apostole anche nella vostra clausura”.
Eletto papa il 21 giugno 1963, Paolo VI ereditò il compito di condurre a termine il Concilio Vaticano II e nel primo radiomessaggio del 22 giugno 1963 chiarì che la continuazione dell’assise di tutti i vescovi del mondo sarebbe stata “la parte preminente e l’opera principale” del suo pontificato. In particolare parlò della necessità di definire e rinnovare la Chiesa cattolica, di ricomporre l’unità dei cristiani e occuparsi del dialogo con il mondo contemporaneo.
Il 28 ottobre 1965 promulgò il decreto comunemente citato con il titolo latino di Perfectae Caritatis. Esso affermava che “torna a vantaggio della Chiesa che gli istituti abbiano una loro fisionomia e una propria funzione”. Il decreto invitava a interpretare e osservare fedelmente lo spirito, le finalità dei fondatori e le sane tradizioni che costituiscono il patrimonio di ciascun istituto.
L’8 dicembre 1965 il Concilio Vaticano II si concluse. La vita religiosa era chiamata a dare pieno corso al rinnovamento. Ora, prescriveva la Perfectae Caritatis – erano i singoli Ordini e istituti a dover discernere e operare le scelte più convenienti per adeguare ai criteri enunciati dai padri conciliari il loro stile di vita, il loro modo di pregare, di servire la Chiesa e anche il loro modo di governarsi. Questo li avrebbe necessariamente condotti a rivedere le Costituzioni, i direttorii, i libri delle usanze, delle preghiere, delle cerimonie ed altri simili codici, sopprimendo le eventuali prescrizioni che non fossero state più ritenute attuali. Nel monastero i primi risultati si manifestarono in campo liturgico. Già il 12 settembre 1965, nella festa di Maria, la messa era stata celebrata per la prima volta “con l’altare rivolto verso l’assemblea” e si era fatta la processione per l’offerta dei doni. Le nuove norme per la celebrazione della messa furono completamente applicate nel novembre del 1969”.
Il legame con le Romite rimase forte. Pochi mesi prima di morire, Paolo VI inviò all’abbadessa Rinaldi una lettera in occasione del quinto centenario della morte della beata Caterina. “Con viva compiacenza e stima – scriveva – guardiamo a codesto monastero che la beata volle fondare seguendo il particolare Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus con le Regole di Sant’Agostino, che appare cittadella dello spirito… e si presenta – come abbiamo avuto la ventura di constatare durante il periodo del nostro ministero pastorale nell’arcidiocesi ambrosiana – luogo speciale, ove alla pace ed al silenzio mirabilmente si accordano la lode perenne dell’Altissimo, l’apostolato in molteplici forme, la diffusione della fede e le virtù attive del lavoro”.
Paolo VI morì a Castelgandolfo il 6 agosto 1978 e dopo alcuni anni fu avviata la causa di beatificazione. “Il primo via libera – riferiva il Corriere della Sera del 19 marzo 1999 – è avvenuto ieri quando il cardinale Ruini ha dichiarato chiuso il processo diocesano durato sei anni. La documentazione raccolta passa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi per la seconda fase dell’indagine. Il tribunale ha interrogato 165 testimoni e raccolto le testimonianze “giurate” di dieci cardinali e vescovi. Ora – concludeva il quotidiano milanese – dev’essere redatta la “biografia critica” per la quale ci vorrà qualche anno”.
Per Dionigi Tettamanzi, cardinale arcivescovo di Milano dal 2002 al 2011, il Sacro Monte di Varese ha avuto un ruolo determinante nella causa di beatificazione di Giovanni Battista Montini. Nel convegno “Montini – Paolo VI, l’evangelizzazione, compito e missione della Chiesa” che si tenne il 30 aprile 2009 a Villa Cagnola con i vescovi delle diocesi lombarde, il cardinale indicò la montagna sacra varesina come il fulcro del processo di beatificazione e propose monsignor Ennio Apeciti come vice postulatore dell’arcidiocesi ambrosiana, con il compito di seguire l’iter.
Dedicata a Paolo VI è la collezione raccolta nello spazio espositivo che è stato inaugurato, pochi giorni fa, nella sede dell’ex albergo Samaritana alla Prima Cappella. La collezione comprende gli oggetti e gli arredi sacri, i dipinti, le sculture, i bronzi, le ceramiche, i libri, le monete, gli abiti liturgici e da viaggio indossati dal papa bresciano che il suo segretario particolare, il varesino monsignor Pasquale Macchi, lasciò in eredità alla sua morte, avvenuta nel 2006, alla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese.
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