È di qualche giorno fa la notizia che uno dei violenti acquazzoni che di tanto in tanto si abbattono sulla capitale ha ulteriormente danneggiato la “quercia del Tasso”. Si tratta di una pianta secolare a pochi passi dal piazzale del Gianicolo. La puoi vedere, superata la statua di Anita Garibaldi, nei pressi del Convento di Sant’Onofrio dove morì appunto lo sfortunato autore della Gerusalemme liberata.
Come il poeta non ha avuto gran sorte, l’albero, colpito rovinosamente da un fulmine nel 1843 e incendiato dolosamente l’anno scorso, si regge a stento grazie a uno scheletro di metallo arrugginito. Eppure è un luogo caro ai romani. C’è una bella vista di Roma e lì San Filippo Neri radunava i suoi ragazzi per passarvi pomeriggi tra giochi e preghiera.
Ora un gruppo di studiosi e appassionati si è mobilitato per un progetto di recupero di un’area d’indubbio, come si dice in questi casi, valore storico. Speriamo con buon esito.
Ma tutte le volte che mi capita di passare davanti a quella pianta non posso fare a meno di pensare ad un breve racconto di Achille Campanile: “La quercia del Tasso”. Mi rendo conto che non sia il massimo dell’eleganza ma, paragonato a quanto si sente oggi in tema di comicità, il ricordo di autori come Campanile, Marchesi, Flaiano, Manganelli e della loro capacità di attraversare con un sorriso e la padronanza della lingua anche gli aspetti più drammatici del vivere, mi diventa più pressante.
Dunque secondo Campanile nel tronco d’albero ai tempi del grande e infelice poeta viveva un tasso. “Alcuni – scrive – credevano appartenesse al poeta, lo chiamavano il tasso del Tasso e l’albero, la quercia del tasso del Tasso”.
“Poi c’era la guercia del Tasso, una poveretta con un occhio storto che si era dedicata al poeta. Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta la quercia della guercia del Tasso mentre quella del Tasso era detta la quercia del Tasso della guercia”.
Ora vorrete sapere se anche nella quercia della guercia viveva uno di quegli animaletti detti tassi. Viveva. E lo chiamavano il tasso della quercia della guercia del Tasso, mentre l’albero era detto la quercia del tasso della guercia e lei la guercia del Tasso della quercia del tasso.
“Successivamente – continua Campanile – Torquato cambiò posto e, capriccio di poeta, si trasferì sotto un tasso, albero delle Alpi. Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente e venne indicato in seguito come il tasso del tasso del Tasso”. Infine il Comune di Roma propose al poeta di pagare qualcosa per la sosta quotidiana sotto il tasso del tasso del Tasso ma fu difficile stabilire il… tasso da pagare. Divertissement infinito, affabulazione ipnotica anche se, con la situazione in cui versano le casse capitoline, l’ultima frase mi sembra assolutamente verosimile.
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