Ricorrendo a ottobre il cinquantaduesimo anniversario dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, ci piace celebrarlo col commentare “L’accordo di Metz”, un saggio in cui il filosofo cattolico francese Jean Madiran sostiene che, ad agosto del 1962, nella cittadina francese di Metz, accadde qualcosa che avrebbe condizionato politicamente il Concilio che si aprirà da lì a qualche mese. Secondo l’autore, infatti, a Metz sarebbe avvenuto un incontro segreto tra il cardinale Eugéne Tisserant, in rappresentanza di papa Giovanni XXIII, e l’arcivescovo ortodosso Nicodemo Rotov, in rappresentanza del patriarcato ortodosso di Mosca, in realtà del Politburo e cioè del Partito Comunista Sovietico.
In breve sintesi, l’autore, che è venuto a mancare l’anno scorso, sostiene che, durante quell’incontro, fu stabilito un accordo che ebbe per oggetto l’impegno del papa affinché il Concilio si astenesse dal condannare il comunismo (che Pio XII aveva addirittura scomunicato) come uno dei mali del secolo, in cambio della partecipazione alle assise della Chiesa di prelati provenienti dal patriarcato ortodosso di Mosca. Che papa Giovanni tenesse molto al reale ecumenismo delle assise conciliari – le prima dall’Unità d’Italia – è risaputo ma che per questo fosse disposto a imbavagliare il “suo” Concilio ne dubitiamo fortemente.
Nonostante le non poche voci dissonanti dalla nostra, perciò, incliniamo a ritenere inverosimili tali congetture perché durante la seconda sessione del Concilio si parlò, eccome, di comunismo. A farlo fu proprio un papa, Paolo VI nel frattempo succeduto a Roncalli, con l’enciclica Ecclesiam Suam datata 6 agosto 1964, che condannava nettamente il comunismo specialmente laddove sull’argomento richiamava l’enciclica Divini Redemptoris con la quale nel 1937 il papa Pio XI aveva tracciato un confine netto tra cattolicesimo e bolscevismo ateo.
Ai tempi di Paolo VI, da tutti auspicata era scoppiata finalmente la “distensione” tra i due blocchi militari che reggevano le sorti del mondo e, pertanto, i toni della Chiesa non potevano essere più da crociata ma curiali come, d’altronde, sono sempre stati in condizioni normali, ma non per questo accomodanti: “Chi non è ben radicato nella fede e nella pratica della legge ecclesiastica penso essere venuto il momento di adattarsi alla concezione profana della vita […] Questo fenomeno di adattamento si pronuncia tanto nel campo filosofico, quanto nel campo pratico […] Il relativismo che tutta giustifica e tutto qualifica di pari valore attenta al carattere assoluto dei principi cristiani […] Talvolta il desiderio apostolico d’avvicinare ambienti profani o di farsi accogliere dagli animi moderni, da quelli giovani specialmente, si traduce in una rinuncia alle forme della vita cristiana…”.
E, poi, arrivò anche la bastonata per i preti cosiddetti progressisti, quelli che confondevano il sacerdozio con la militanza politica: “…Non è forse vero che spesso qualche zelante religioso guidato dalla buona intenzione di penetrare nelle masse popolari o in ceti particolari cerca di confondersi con essi invece di distinguersi, rinunciando con inutile mimetismo all’efficacia genuina del suo apostolato?”.
Di là di tutto questo, dell’Accordo di Metz, di cui Madiran ammette di non conoscere i contenuti, non v’è una sola prova provata, se non articoli tratti da giornali politici dell’epoca e alcune dichiarazioni dell’arcivescovo Nicodemo liberamente “interpretate” dalla stampa di destra. Riteniamo che l’inclinazione a costruire una verità su congetture e deduzioni sia – oltre che scorretta – antistorica, come troviamo intollerabile lo stravolgimento senza prove del ruolo avuto nella storia di figure importanti come papa Giovanni XXIII che non fu per niente uno sprovveduto in balia della curia romana e per di più simpatizzante del comunismo.
All’epoca degli accadimenti lo scrivente era un adolescente sognatore cui, evidentemente, non interessava niente né della politica, né delle vicende della Chiesa, e tuttavia ricorda molto bene l’attenzione con cui suo padre – che si dichiarava agnostico – seguiva le vicende del successore di Pio XII, del Concilio in corso e anche lui, come Jean Madiran, sosteneva che la curia romana, storicamente tradizionalista, non amasse compattamente un papa innovatore come Roncalli. È stato a questo punto che, pungolati dalle argomentazioni del filosofo francese e da affettuose reminiscenze, abbiamo sentito la necessità di andare a documentarci sul comportamento “politico” di Giovanni XXIII per vedere se da un tale vaglio potesse emergere un elemento, o perfino un indizio, che rendesse almeno verosimile il patto segreto che sarebbe avvenuto tra il Vaticano e il Cremlino.
Il fatto è che, appena iniziata la ricerca è subito venuto fuori che papa Roncalli fu “vittima” della sua stessa vita, delle sue origini contadine, di una personalità semplice e concreta, del fatto di essere stato in gioventù segretario del vescovo di Bergamo, Giacomo Radini Tedeschi, un prelato molto Ma anche quando sarà, egli stesso vescovo e cardinale, Roncalli non avrà paura né delle parole, né vicino alle rivendicazioni operaie dei primi del Novecento e perciò definito un socialista.
di scegliere posizioni ritenute politicamente scorrette ma, comunque, sempre in coerenza col suo magistero. Ad esempio, in veste di Nunzio Apostolico a Parigi e di osservatore della Santa Sede presso l’Unesco non esitò a elogiare i rappresentanti di altre religioni storicamente nemiche del cristianesimo: “Ho constatato che fra i settanta diplomatici, di cui solo trenta cattolici, i più sensibili alle parole del nunzio su questo punto di ispirazione religiosa, vengono ad essere gli ambasciatori nei quali prevale una tradizione religiosa buddista, confuciana e maomettana”. E con la Francia che in quel momento iniziava a reprimere nel sangue la rivolta degli algerini (maomettani), con i comunisti (confuciani) che avevano da poco assunto il potere in Cina, si capisce che ci volle la forza di un’insopprimibile onestà intellettuale per fare tali affermazioni visto anche che Pio XII, appena qualche anno prima i comunisti li aveva addirittura scomunicati.
L’episodio che, però, lo etichetterà per sempre, come di sinistra avvenne a luglio del 1962, quando in veste di papa si rifiutò di concedere udienza ai vertici della Confindustria sospettando che essi volessero incontrarlo per tentare bloccare in qualche maniera la nazionalizzazione dell’energia elettrica che era la condizione preliminare sulla quale si stava costituendo il primo governo di centrosinistra in Italia. L’anno dopo, invece, riceverà in udienza privata addirittura il genero e la figlia del premier comunista Nikita Kruscev. A questo punto tutto lascerebbe pensare che Roncalli fosse davvero un papa di sinistra e che in qualche modo avesse ragione il compianto Madiran. Ma fu davvero così?
(1- continua)
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