L’esigenza della pace non è per l’uomo un fattore facoltativo della sua Storia, ma risponde al bisogno di vivere le relazioni fondamentali alla luce della Verità per cui siamo stati creati. La pace, infatti, non è solo una situazione politica di non belligeranza tra uomini e popoli, ma è il giusto rapporto che ogni persona è chiamato a vivere con sé stesso, con gli altri e con Dio, come spesso ricorda anche il nostro Arcivescovo, così da realizzare un’esistenza armoniosa. Certamente la Chiesa si è sempre spesa per costruire anche un ordine mondiale di pace, senza scadere in un pacifismo velleitario o di maniera, ed è anche per questo che prosegue di anno in anno la felice intuizione di Paolo VI di dedicare la festa di Capodanno alla Giornata Mondiale della Pace, con l’attenzione specifica per il 2012 ad approfondire il tema dell’educazione dei giovani, che sono i primi protagonisti di un vero futuro di pace.
Benedetto XVI definisce, nel suo messaggio per la XLV Giornata della pace, l’educazione come “l’avventura più affascinante e difficile della vita”, cui soprattutto la famiglia deve dedicarsi, perché i giovani siano guidati alla conoscenza della realtà, lasciandosi affascinare dalla verità e dalla bellezza della Creazione che Dio affida. La pace non è l’esito istintivo di una semplice volontà di superare i conflitti, ma trova la sua radice nella consapevolezza che Cristo ha già unito tutta l’umanità nella Redenzione, liberandola dalla schiavitù del Male e della morte, e che per questo è “stato abbattuto il muro dell’estraneità” facendo dei due un popolo solo (come dice San Paolo), non in virtù di accordi diplomatici o di compromessi politici, ma perché nell’umano si è introdotta una ”ontologia” nuova, cioè un diverso modo di essere uomini che vive la carità come modalità quotidiana delle relazioni interpersonali.
In tempi di crisi economica e di difficoltà a far quadrare i bilanci, è difficile pensare alla solidarietà reciproca come espressione della pace, ma è proprio un’educazione alla Verità e alla Giustizia che può far sperare nella nascita di rapporti nuovi e nella prospettiva di una diversa socialità in grado di affrontare anche gli attuali conflitti. Non basta, infatti, ripetere che “l’Italia ce la farà”, come si affrettano a rassicurare le più alte cariche dello Stato anche per far meglio “digerire” i sacrifici imposti dalla manovra finanziaria; occorre mostrare piuttosto che la ragione per essere solidali “c’è e sta” nell’esperienza della testimonianza dell’umanità cambiata da Cristo. Ciò richiede un’educazione della persona alla carità gratuita, che è il vero grande investimento da fare nel presente per sperare in un futuro più vivibile.
Dunque all’inizio di un nuovo anno il lavoro per la pace non è solo agli alti livelli della politica e della diplomazia, ma è nella vita concreta di ciascuno perché scopra che cosa significa realmente essere uomo, per poter affrontare la crisi profonda in cui viviamo, che è evidentemente ed essenzialmente di natura etica ed antropologica. Educarsi a questa profondità di sguardo sull’uomo implica che si riconoscano i veri “testimoni di pace”, che sono tali perché costruiscono delle relazioni buone generate dalla certezza di essere loro, per primi, oggetto dell’amore di Dio. Così si comprende anche l’efficacia dell’indicazione pastorale offerta il 1° gennaio dal cardinal Scola: “Invocare Dio nel quotidiano è la primaria condizione della nostra pace. E la nostra pace ci rende edificatori di pace”. Proviamo ad iniziare così l’anno nuovo e a proseguire così tutti i giorni, sin dal primo mattino!
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