Protestare… Se quando avevo venticinque anni fossi salito su un albero per starci a protestare per una settimana che cosa sarebbe successo…? Sarebbero arrivati i miei con la motosega a tirarmi giù… Scherzo! Allora le motoseghe non erano di facile reperibilità. Gli alberi si abbattevano con magistrali colpi di ascia. No, non avrei potuto andare su una pianta, i pompieri mi avrebbero tirato giù e avrei rischiato di finire in Questura.
Eravamo prima del `68. La generazione che ci precedeva era arcigna, rigida, molto austera, convinta che “per forgiare dei duri per la vita, per tirar fuori dei maturi” si doveva spronare, pretendere, punire, selezionare, far faticare, coltivare lo spirito di sacrificio. Non lasciavano questo compito agli eventi ma cercavano di farlo loro, i genitori, gli insegnanti, gli educatori, perché così “ti proteggevano e ti preparavano”. Dicevano. Per noi era dura.
Anche allora si protestava. I nostri cortei, molto composti, erano per “Trieste libera” e parteciparvi aveva più l’aria di una bigiata che altro.
Inoltre non avrei potuto restare in sicurezza sulla pianta: tecnicamente impossibile. C’erano cordoni di canapa, pesanti, rigidi, non flessibili funi di nylon. Non c’erano imbragature e attorno alla vita era impossibile avere rosari di moschettoni di sicurezza.
Ma il problema non è nella tecnologia. I tempi erano diversi, i metodi educativi, come detto, molto più rigidi. Se eri maschio dovevi dare un bel po’ di tempo allo Stato: c’era la “ferma di leva”, scomparsa da qualche anno, ma che ti lasciava bene o male il segno.
Gli studenti degli istituti tecnici che volevano una cultura superiore potevano accedere solo alla facoltà di scienze economiche. Solo quelli del classico avevano aperte tutte le strade, mentre quelli dello scientifico non potevano iscriversi alle facoltà definite umanistiche.
Ma nel profondo della società sottilmente le cose mutavano e il ‘68 non poteva non esplodere.
Importante è ricordare com’era, per poter migliorare il presente, per progettare il futuro. Ma è difficile. Oggi protestiamo per salvare gli alberi, ci battiamo a favore degli animali, ma per la “creatura umana” abbiamo la stessa attenzione?
Non lo so. Ci sono giovani che, nell’esuberanza della loro energia in ascesa, decapitano i fratelli e progettano di schiavizzare le sorelle. Ma con altrettanto cinismo si reagisce contro di loro, col loro stesso linguaggio e con forze maggiori, senza cercare vie nuove, lontane dalla violenza, che non risolve nulla.
Non si sa andare all’origine di questi drammi che frequentemente sono conseguenza di torti subiti, sangue rubato, miserie imposte da tanto tempo a tante generazioni dilaniate non solo dalle armi, ma anche dalla violenza infingarda dell’economia, la violenza degli egoismi speculativi, della sanità negata ai miseri, della giustizia pigra o inesistente, della vita nascente impedita.
Purtroppo se dietro a una semplice, innocente, pacifica protesta per delle piante non si sa vedere molto di più di quello che appare, allora tutto diventa inutile, niente serve, mentre nel profondo della società può sbocciare qualcosa di nuovo, che piano ma inesorabile matura.
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