La situazione di crisi economica attuale porta dati molto preoccupanti: undicimila addetti licenziati; ventiduemila giovani senza prospettiva di lavoro.
Sono stato invitato a partecipare a questo tavolo. Innanzitutto ho posto una questione di metodo: non avendo ricevuto alcuna risposta per iscritto riguardo il tavolo convocato prima della scorsa estate, ho chiesto che gli interventi non fossero solo pletorici ma che avessero, invece, una risposta per iscritto da parte di chi (Regione Lombardia) riunisce il tavolo. Non ha, infatti, alcuna ragione invitare la società civile a partecipare a incontri nel corso dei quali viene chiesto un intervento che non venga poi coltivato in alcun modo.
Non è giusto che i contributi del terzo settore non vengano tenuti in conto e dispersi, soprattutto se richiesti. Mi auguro quindi che in futuro ci possano essere una fattiva collaborazione e risposte anche perché il terzo settore in provincia di Varese è molto forte e diversificato.
Il terzo settore varesino non è scevro da queste problematiche: risente infatti di una non funzionalità del sistema economico e di una crisi come l’attuale. Ha, quindi, un diretto interesse a proporre l’assunzione di iniziative capaci di promuovere un’uscita dalla crisi.
Il presidente di Univa ha giustamente sostenuto che tutto il territorio deve essere interessato a muoversi perché il primario e secondario siano forti. Occorre che si cambi, però, la tendenza a rivolgersi solo agli enti istituzionali superiori (Provincia e Regione) oppure alle associazioni di categoria ma non al piccolo che rappresenta invece una forza prorompente.
Cambiando prospettiva, i punti di riferimento devono divenire enti locali, il terzo settore e i singoli imprenditori. I Comuni non sono stati sollecitati a sviluppare attività di vision. Sono però loro ad avere quali cittadini i lavoratori industriali; sono però loro a poter godere effetti positivi da un’attività forte e bene organizzata dal punto di vista economico.
Guardiamo soltanto al passato: imprese forti hanno dato vita ad asili, centri di assistenza per malati, raccolte d’arte, alberghi, strade e ferrovie eccetera. Insomma, a quella ricchezza che fa del nostro territorio una delle punte di diamante della nazione italiana.
Si è molto parlato della preparazione professionale al servizio dell’impresa. Mancano figure specializzate nelle scuole; mancano soprattutto nelle scuole tecniche laboratori sufficienti perché sia possibile imparare a lavorare, a tramandare le capacità lavorative sviluppate nel territorio, insegnanti capaci di tramandare il proprio know how.
Si è chiesto, dunque, alla Provincia di fare un censimento delle scuole tecniche, di sapere se gli insegnanti siano in numero sufficiente, di sapere quanti di costoro siano stati pensionati e a quale prezzo possono tornare a svolgere le attività di insegnamento e di sapere, se vi siano laboratori sufficienti.
È importante poi riconsiderare il territorio: questo non deve essere soltanto oggetto di una sterile speculazione, ma deve essere valorizzato nell’interesse generale. Come? I beni più attrattivi debbono essere messi a collegamento tra loro e tutti insieme vanno relazionati con il sistema di ospitalità varesino (alberghi e ristoranti).
Parliamo, chiaramente, non solo, di presenze rilevanti dal punto di vista culturale e paesaggistico, ma anche di quelle che interessano ambiti più leisure (campi di golf, piscine, campi di tennis, aeroporto per il volo a vela, laghi per il canottaggio eccetera).
Tutto il territorio va reso ospitale, attrattivo. Su questo punto pretendiamo ci sia l’attenzione più massiccia. Tutto il territorio italiano ospita numerose attrattive storico-artistiche e naturalistiche (per non parlare in tempi più recenti delle presenze leisure). Il territorio varesino non è insignificante da questo punto di vista, tanto che a breve distanza tra loro ci sono ben quattro patrimoni dell’umanità Unesco. Pertanto una eccellenza planetaria a buon diritto.
Non fare fruttare questo diversificato ben di Dio equivale a commettere un peccato che altre nazioni non si permetterebbero di compiere. Peccato che, oltre ad essere turpe, sarebbe anche inspiegabile.
Vanno così legate le diverse attività tra loro e queste vanno raccordate con il sistema di ospitalità locale (ristoranti e alberghi) ed anche al mondo imprenditoriale. Valorizzare consentendo la sostenibile fruizione e non disperdere deve essere la parola d’ordine.
I varesini debbono saper trarre dalle molteplici, eterogenee attrattive il proprio danaro che deve costituire fonte di ricchezza collettiva. Non solo: le imprese le devono sfruttare per farsi conoscere e tutto ciò deve essere motivo di qualità. Tutto il territorio deve essere frequentabile in ogni suo dove è sullo stesso devono potersi attivare iniziative imprenditoriali sostenibili.
Non si dica che mancano i soldi: le banche italiane hanno risorse cospicue atte a finanziare progetti in grado di reggersi sulle proprie gambe. Gli enti pubblici minori non hanno una sufficiente intraprendenza progettuale: questo è il vero problema che occorre risolvere. Devono essere protagonisti e non demandare ad altri le scelte; devono imparare a progettare. Devono imparare a chiedere.
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