Siamo un Paese che vive di illusioni, e anche di illusionisti. La definizione non è nostra: la prendiamo da un recente intervento del giornalista Piero Ostellino, già direttore e ora notista del Corriere della Sera.
Illusioni, perché continuiamo a credere che – nonostante tutto – possiamo farcela, che prima o poi lo Stellone ci aiuterà a venire fuori dalla melma; illusionisti, perché c’è sempre qualcuno che ci conforta e che ci esorta nelle nostre speranze, l’uomo della Provvidenza, insomma, come accadde nel passato, com’è accaduto di recente e come forse sta capitando oggi.
Le illusioni sono di varia natura: di vivere bene con le tasche vuote, di conquistare posti di privilegio nel mondo senza “truppe” adeguate, di tornare a essere l’Italia del Rinascimento perché noi abbiamo le possibilità, il territorio favorevole (?) e magari anche i mezzi.
L’illusione più forte è sostenuta da principi scritti in una lapide di alabastro, che è la Carta costituzionale, la Superlegge che tutte le altre impronta e dunque che condiziona il nostro vivere civile. Non serve a nulla dire che, se pure la Costituzione era aderente a una situazione vigente una settantina di anni fa, ora andrebbe in qualche modo cambiata. E non solo nei suoi aspetti stantii riconosciuti di fatto anche da coloro che la difendono sempre e in tutti i casi (pensiamo al famigerato Titolo V che, a ogni quinquennio ormai, si cerca di modificare e che, finora, ha prodotto mostriciattoli giuridici o alle norme riguardanti la disciplina dell’ordine giudiziario). La Costituzione purtroppo oggi fa acqua anche nei suoi cosiddetti Principi fondamentali. Per tutti citiamo l’articolo 1, trave portante dell’impianto generale: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Già il primo comma, di questi tempi, è una grande illusione, o se si vuole una grande ipocrisia. Quale lavoro? Quello che non c’è più e che si vorrebbe ci fosse? È un auspicio, molto probabilmente, ciò che è scritto e che resta; nella realtà il fondamento sta sulle tasse, che adesso gravano anche su chi non lavora, sulle bugie, sulle corruttele, sull’ipocrisia. E pure per quanto riguarda l’aggettivo “democratica” ci sarebbe qualcosa da ridire.
E veniamo, appunto al secondo comma: “La sovranità appartiene al popolo…”. Da decenni i giuristi si stanno lambiccando il cervello sulla definizione di popolo. Quale popolo, quello che agli effetti non conta più nulla, se mai ha contato qualcosa in precedenza? Il termine è vasto e ambiguo, c’è popolo e popolo e – perdonate le ripetizioni che possono creare qualche confusione ma il concetto dovrebbe essere chiaro – c’è popolo e popolo anche all’interno di uno stesso popolo… In definitiva, la Legge non è mai uguale per tutti.
Sicché la definizione di popolo è soltanto formale e non sostanziale. Come quando per amministrare la giustizia (più spesso l’ingiustizia, sempre contro presunti colpevoli e mai come si dovrebbe nei confronti di presunti innocenti), si esordisce dicendo “In nome del popolo italiano”, un popolo che è assente, talvolta in disaccordo o addirittura ostile e sempre più spesso indifferente.
Per consolazione in tempi recenti si è chiamato un comico molto famoso – a pagamento – per dirci che “la nostra Costituzione è la più bella del mondo”. In senso lato non è una contraddizione o un’anormalità, se si considera che un altro comico professionista – niente in contrario nei confronti di un’emerita professione, è solo che non sempre ci viene da ridere – è a tutt’oggi il leader del principale partito di opposizione.
Lo stesso comico che non molto tempo fa ci parlò della Costituzione più bella del mondo sempre a pagamento fu chiamato a leggere e a recitare Dante, che pure è cosa nobile, ma la recita fu encomiabile soltanto per la cadenza toscana; come avrebbe potuto fare un qualsiasi studente liceale nato a Scandicci e, molto di recente, ancora a pagamento il comico è stato invitato a sostenere l’esordio di un talk show della tv di Stato.
A pagamento abbiamo sentito così profferire frasi del tipo “Se la felicità si dimentica di voi, voi non dimenticatevi della felicità”. Ci ha mandati in un brodo di giuggiole. Del tutto gratis volentieri gli avremmo potuto rispondere citando proverbi secolari: “Chi fa da sé fa per tre”; “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” o “Rosso di sera bel tempo si spera”. È che da tempo le nuvole sono sempre e soltanto grigie.
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