C’è un’attesa per il sinodo sulla famiglia che si apre in Vaticano in questi giorni, suscitata certamente da questioni delicate come quella dei divorziati risposati, ma dovuta anche al tema della famiglia come tale che è per la Chiesa del tutto centrale sia per la vita ecclesiale che per la costruzione di una società buona ed armonica. Il Papa ha voluto coinvolgere idealmente nella preparazione all’assemblea sinodale tutte le famiglie del mondo, chiedendo in particolare la preghiera degli anziani e dei nonni cui ha dedicato un incontro in Piazza San Pietro.
Si è trattato di un elogio della “nonnitudine” che non ha nulla di sentimentale o di naif, ma che vuole riconoscere il ruolo di testimonianza e di riserva di saggezza degli anziani, soprattutto nelle situazioni più difficili nella vita delle famiglie, che li fa essere come “alberi che continuano a portare frutto”, anche grazie alla loro preghiera definita da Francesco “particolarmente potente”. Ai nonni, che sono due volte padri e madri, è per questo affidato il grande compito di comunicare l’esperienza della vita, la storia di una famiglia, e di trasmettere la fede alle nuove generazioni introducendole nella storia di un popolo per goderne l’eredità più preziosa.
Questo è il vero tramite della tradizione nell’unità e continuità delle generazioni, ed è il modo concreto in cui scorre il senso stesso della storia della salvezza: perciò, contro la cultura dello scarto che tende ad emarginare le componenti deboli della società solo perché sono improduttive, il Papa invita ad attingere alla grande ricchezza rappresentata dagli anziani come luogo di umanità insostituibile. Un popolo infatti si impoverisce se dimentica il suo passato e le radici della sua identità, e spetta proprio ai nonni il compito di parlare ai piccoli non per evocare ricordi nostalgici del tempo che fu, ma per ritrovare il senso del presente. Non si tratta solo di una valutazione di ordine sociologico, ma del fatto che attraverso le generazioni passa la storia che Dio costruisce con gli uomini, continuando la creazione nel passaggio del testimone da una generazione all’altra all’interno di una catena di cui ciascuno diventa anello fondamentale.
L’essere anziani non è perciò né categoria sociologica né pura condizione anagrafica, ma diventa un compito nella vita di un popolo in quanto modalità di essere deposito di umanità, scrigno che conserva i valori fondamentali testimoniando la capacità di essere fedeli nel tempo all’opera di Dio, soprattutto resistendo al dolore e alla sofferenza. Per questo l’equazione vecchiaia=sapienza non è solo la ripetizione di un detto popolare ma indica un reale legame tra le generazioni per mezzo di quel rapporto educativo che rende evidente la tenuta dei valori fondamentali.
Ne dà testimonianza anche Maria nella visitazione a Sant’Elisabetta, nel suo andare da una madre molto più anziana di lei per imparare qualcosa che la aiuti ad essere meglio madre del Verbo di Dio, valorizzando il tesoro di esperienza umana che lei può trasmettere alla giovane fanciulla cui l’angelo ha promesso di divenire protagonista della più straordinaria maternità. Ed anche Gesù ha avuto dei nonni, dentro una famiglia in cui le generazioni si sono incontrate, condividendo un medesimo destino ed ha gustato il significato più autentico del vivere in una famiglia capace di includere nella comunione tutti i suoi membri. E gli anziani in particolare, che in modo originale vivono il loro essere stati figli per poter poi diventare padri e nonni in un continuo scambio di umanità.
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