Caratteristica del capitalismo è quella di rilegittimarsi, trasformarsi, rilanciarsi sul valore fondativo della libertà, che è tipico della sua assiologia. Quello novecentesco ha comportato uguaglianza entro il quadro giuridico dello Stato. Ed è un’ideologia che sostiene, giustifica, stimola l’impegno delle persone nella prospettiva della produzione e del consumo. Con la nascita dello stato sociale ci si è poi liberati dall’incertezza e dal bisogno in misura rilevante e si è allargato il consumo di massa.
Solo che con il subentrare del capitalismo tecnonichilista, con il suo grave limite antropologico, si è determinata una grave crisi sul piano strutturale e simbolico e la perdita di senso è divenuta progressiva. A performance sempre più elevate richieste si è accompagnata una soggettività tutta emotiva e superficiale; all’iperrazionalismo tecnico l’ipersoggettivizzazione, senza che si sia tenuto conto adeguatamente delle risorse ambientali e sociali a disposizione. Si è imposto il criterio di un consumo senza preoccupazione seria di rigenerazione. Di qui la crisi ecologica preoccupante e l’esigenza al contempo di un valore contestuale, condiviso.
Non si devono più opporre guadagno e tutela dell’ambiente, sviluppare invece una progettualità a ben più lungo termine, senza rilevanti sacrifici di salari e territorio. Merita attenzione lo sviluppo della green economy. I beni relazionali non sono riducibili a merci e va convertita la psicologia verticistica del manager. La nostra è una società asservita all’utile, schiacciata dalle logiche economiche e frenetiche dell’interesse, del profitto e dello scambio. Non paia solo avveniristica l’introduzione del concetto di gratuità, bisogna rischiare nei rapporti con l’altro. Incalzano i problemi del surriscaldamento del clima e della fame, la crisi demografica, quella petrolifera, c’è il terrore delle pandemie e dell’insostenibilità dell’attuale crescita economica.
La giustizia economica non è definita dalla libertà del mercato. Già la Rerum Novarum predicava il principio che “l’uomo non deve possedere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi all’altrui necessità”, sì che siano ministri della Divina Provvidenza a vantaggio altrui (R.N.19). E Paolo VI colla Populorum Progressio: la legge del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale (P.P. 59). Alla base sta il principio della destinazione universale dei beni.
Ultimamente Papa Francesco con le sue parole toccanti (Ev.G. 55) ha esecrato l’idolatria della proprietà privata, il vitello d’oro di memoria biblica nella globalizzazione dell’indifferenza. E dire che all’inizio la scienza economica si era sviluppata come branca dell’indagine morale. Ora ci sta innanzi solo un mercato deregolamentato, illegalità e corruzione caratterizzano spesso il mondo della finanza, sino a che in anni vicini si è quasi giunti al crollo dell’economia mondiale. Di contro sta l’insufficienza degli stanziamenti per il fondo globale rivolto alla lotta all’AIDS, la tubercolosi e la malaria con una disuguaglianza senza precedenti. Quanti di noi meditano sulla parabola del povero Lazzaro?
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