C’era una volta la crisi. Erano sempre anni di crisi, ma diversi da quelli di oggi. La miseria era evidente, molto diffusa fra la gente, non velata da immagini di illusorio benessere come vien fatto apparire dagli scaffali dei supermercati, ancora ricolmi di false offerte di risparmio, o dalle vetrine dei negozi del centro delle città, scintillanti di fatui abbigliamenti.
Allora nei negozi delle “cooperative di consumo” o dei “consorzi” rionali si acquistava a credito con il debito della spesa segnato su un quadernetto dalla copertina color carta da zucchero.
Era appena finita la guerra. I giovani sopravvissuti alle stragi dei fronti di battaglia o perpetrate in campi di concentramento tornavano. Le madri dei dispersi continuavano a pregare e sperare.
Il bucato si faceva a mano. Non c’erano frigoriferi, ma chi poteva aveva la ghiacciaia. Le lavastoviglie erano sconosciute. Il caffè era un surrogato ottenuto con semi ed altri frutti impensabili. I super alcolici un lusso spropositato.
Si diceva che “ci si doveva arrangiare in tutto” e veramente ci si arrangiava con infinite e fantasiose metodiche. Ad esempio: non c’era legna per scaldarsi? In sostituzione con carta straccia si confezionavano palle poi fatte essiccare al sole. Riscaldavano efficacemente? Si sperava
La disoccupazione era enorme e senza cassa integrazione. Statisticamente impossibile rilevarla, ma concretamente e drammaticamente vissuta dalla gente. Le madri di famiglia si impegnavano in tutti i modi: dai lavori a domicilio affidati fuori sede da ditte in timida ripresa, alle esperte nel manovrare le macchine da maglieria, mosse faticosamente a colpi di braccia e di spalle, bilanciate da contraccolpi del bacino. Con la loro capacità riuscivano a tenere in piedi la famiglia. Erano gli abbozzi di una attività artigiano- industriale che sarebbe fiorita a Varese in parallelo ad altre attività presenti da tempo sul territorio, ma in crisi per i devastanti risultati di una folle guerra conclusasi praticamente in guerra civile, con un debito enorme nei confronti delle nazioni vincitrici.
Commovente la figura di queste madri che passavano ore alla macchina e contemporaneamente si davano da fare nei lavori domiciliari. Ogni capo veniva eseguito “su misura” del cliente. Non era un privilegio, ma una necessità perché la lana filata a disposizione era sempre scarsa e si doveva risparmiarla. Qualche anno dopo le macchine saranno mosse elettricamente, saranno più precise, capaci di una produzione maggiore e, come detto, fiorirà un artigianato ed una industria della moda che arriverà agli alti livelli dei decenni successivi.
La crisi che viviamo ai nostri giorni è diversa. E’ tecnologicamente più complicata da vivere e da vincere perché troppi di noi sono incapaci ad accettare lo spirito di sofferenza e di rinuncia necessario ed in più le tecnologie attuali frenano l’arte di arrangiarsi. Drammatica la sovrastante presenza di una economia dimentica dei bisogni dell’uomo, ma spinta ad auto incrementarsi, dedita ad una esasperazione del concetto di profitto, considerato il vero unico scopo vitale, ma che purtroppo non è tale perché aumenta la ricchezza (talvolta apparente) di pochi e la grande povertà (sempre reale) di molti, come l’amara esperienza di tutti noi sottolinea.
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