Chissà se all’assessore Clerici, e al sindaco, per fare scendere il giovane Forzinetti dall’albero dei Giardini estensi, è venuto in mente come nel film Amarcord di Federico Fellini, di ricorrere all’aiuto della monaca nana.
La scena del famoso film è memorabile: lo zio Teo, un po’ svitato, interpretato da uno straordinario Ciccio Ingrassia, durante una gita domenicale con la famiglia – lui era ricoverato in manicomio – a un certo punto sale su un albero e comincia a urlare perché tutti lo sentano bene il suo grido di dolore: “Voglio una donnaa!”. Le sassate non le tiravano a lui, come pare sia accaduto a Forzinetti, ma è lo stesso Teo, che s’è riempito le tasche della giacca di ciotoli, a colpire coloro che cercano di convincerlo a scendere. Giunta la sera, soltanto la terribile monaca nana, guardiana dell’ospedale psichiatrico, sale sull’albero e con due rimbrotti riporta a casa lo zio Teo.
La protesta di Michele Forzinetti – appare evidente – è esclusivamente di tipo socio-ambientale, diretta a salvare dall’abbattimento alcuni cipressi del Giardini perché considerati poco consoni al territorio circostante; qualcuno poi vi ha voluto vedere anche una valenza politico-partitica, ma a nostro giudizio non è così. Quella dello zio Teo narrata da Fellini ha invece un significato esistenziale, forse ben più profondo e universale. In entrambi i casi i protagonisti suscitano simpatia e la salita e il pernottamento sull’albero sono diventati fonte di interesse, una trasgressione, comunque la si voglia giudicare, indolore e compiuta a fin di bene.
Certamente i partiti di opposizione – ormai, fin dal secolo scorso, il Comune è governato dalla Lega – godono nel vedere gli attuali amministratori un po’ in difficoltà, così com’è stato per l’annunciata e contestatissima realizzazione del parcheggio sotterraneo alla Prima Cappella, che si farà (ma prima di indicarne con esattezza la spesa il sindaco dovrebbe aspettare la conclusione dei lavori), e per altre iniziative prese o non prese in città. I leghisti e i centrodestristi di oggi, da pseudo-rivoluzionari che erano, sono divenuti “biechi reazionari”. Ed è un paradosso, ma la plateale e inusuale protesta del giovane Michele va più a toccare i tasti del sentimento che quelli della politica, così come ai tempi dei tempi era solito fare il “senatùr” Umberto Bossi, e sbaglia il sindaco ormai asserragliato nel suo ufficio e legato alla sedia, finché i voti e le leggi glielo consentiranno, a derubricare la vicenda come un banale “incidente di percorso”, frutto di una strumentalizzazione politica.
Sarà una nostra impressione, ma da parecchi mesi a questa parte lo scollamento, in città, tra molti bosini e i loro (legittimi, per carità) dirigenti di Palazzo è palpabile e inarrestabile. Per tutti, specialmente per i politici e per i capipartito, soprattutto se essi non riescono più a capire e a bene interpretare la realtà, viene il momento del rendiconto. Non che altri siano migliori e più capaci: l’aria è sempre l’aria, però ogni tanto per rinfrescare le camere le massaie aprono le finestre.
Ecco perché – il fatto non è minimale – a noi la storia dello scalatore di alberi è piaciuta (niente a che vedere con Tarzan). Ne abbiamo approvato l’originalità e la svagata follia, come nel film felliniano; un segno di poesia e di desiderio di novità, sempre più rari da cogliere a Varese. Il sasso nello stagno, ormai torbido, l’ha lanciato lui, Michele, e non quelli che nottetempo (mandati da chi?) hanno voluto prenderlo di mira. Senza riuscirvi.
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