Dato che parecchio del mio tempo lo trascorro in chiesa a servizio dei pellegrini, per confessare i penitenti e presiedere l’Eucaristia, aprendovi il cuore, ho pensato di raccontare quest’anno “le meraviglie che lo Spirito compie in mezzo a noi” specialmente quando trova persone che si lasciano interpellare e rinnovare dal Suo soffio di vita.
Il primo problema che colgo, infatti, è lasciar fare a Dio. In noi ci sono due forze tra loro contrapposte, spesso in modo conflittuale e drammatico: una centripeta, l’altra centrifuga. Dipende da quale ha la meglio…
La prima urge nel cuore di chi viene in Santuario perché cerca spazi di ascolto, di silenzio, di calma, di contemplazione.
L’altra spinge invece verso l’esterno di noi stessi: verso le mille cose da fare, l’efficientismo spesso nevrotico, la visibilità in cui trovare gratificazione, il mondo delle apparenze, che in un attimo si consuma e ti consuma: è ‘la festa dell’effimero’, direbbe il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Per questa ragione qualcuno definisce l’uomo del nostro tempo “un uomo fuggitivo, dislocato e spaesato”.
Talvolta, in maniera banale, molti privilegiano la forza centrifuga: è più facile, più comoda, più immediata, comporta meno sforzo e fatica. È una tentazione subdola del nostro tempo, ma è una costante suggestione, presente in ogni epoca della storia, come in alcune icone bibliche, che ci ricordano l’esperienza della paura a confrontarsi con la Verità: Giona fugge perché non osa rientrare in se stesso… Elia, perché è stanco di combattere contro i falsi profeti… Giuda, perché è deluso da Gesù…
Sull’altro versante, però, non mancano splendidi esempi di tipo opposto: Giobbe e Qohélet, Geremia ed Osea, Pietro, Paolo, Maria di Magdala… questi non fuggono, ma accettano la sfida. Il loro cammino è stata l’esperienza anche di Sant’Agostino, un fuggiasco conquistato da Cristo, che però, pur sperimentando perenne fragilità e debolezza, ha saputo ricominciare proprio da questo livello, con speranza e fiducia.
Ammiro chi non fugge, ma percorrendo con intensità ed umiltà la via della contemplazione va alla ricerca del Dio vero, del Dio vivo, del Dio buono e poi di sé stesso, del senso della vita, della ragione di tante sue scelte e comportamenti, del perché noi facciamo qualcosa piuttosto che qualcos’altro.
Lo descrive bene Dietrich Bonhoeffer: “È buio dentro di me, ma presso di Te c’è la luce; sono solo, ma Tu non mi abbandoni; sono impaurito, ma presso di Te c’è l’aiuto; sono inquieto, ma presso di Te c’è la pace; in me c’è amarezza, ma presso di Te c’è la pazienza; io non comprendo le tue vie, ma la mia via Tu la conosci”.
Accolgo a braccia aperte chi arriva, col desiderio – a volte non detto, ma fatto trapelare dal tipo di approccio – di toccare con mano la verità dell’Amore e della Tenerezza con cui Dio accompagna, poiché è Padre, ciascuno di noi, nessuno escluso!
La vita che abbiamo condiviso con altri nel bene e nel male ci ha segnato: passioni e desideri, amore e tradimenti, avventure e coraggio, indifferenza e curiosità, guerre e pace, odio e perdono. Ci fa bene stupirci di noi stessi, perché ci aiuta a riprendere confidenza con la vita!
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