Meeting e Napoli, amicizia tra i popoli e solidarietà di quartiere contro lo Stato: che cosa hanno in comune? Apparentemente nulla, il sagace lettore potrà sospettare che ne tratti insieme solo per levarmi dall’imbarazzo della scelta di un solo argomento. Chiedo pazienza, cercherò di mostrare il nesso profondo.
Il dato più apparente, divulgato da tutti i giornali, è stato un “meeting in tono minore”. Meno politici, meno grandi nomi, meno mostre, meno televisioni, meno giornalisti, meno copertura mediatica, meno aree espositive, meno sponsor, meno entrate. Aggiungo però che non ci sarebbero stati meno volontari, anzi, si è dovuto rinunciare all’aiuto di parecchi. Aggiungo che si potrebbe tener conto dei problemi di spesa delle famiglie, del fatto che l’ultima settimana di agosto richiede a molti la ripresa del lavoro e qualche altra “scusa”. Ma agli amici giornalisti che hanno fatto il loro commento dalla redazione di Milano o di Roma, rendo noto che se fossero venuti di persona avrebbero avuto la possibilità di ascoltare e di capire il Meeting un po’ di più, un po’ di più degli altri anni, quando venivano sì, venivano quella mezza giornata in cui passavano i “nomi grossi” ed essi si affannavano a rincorrerli, per poterli intervistare su temi affatto estranei al Meeting e mandare in redazione il pezzuccio di cronaca politica.
Ma, attenzione, mica li biasimavo, era il loro lavoro, come il mio lavoro di volontario era quello di accogliere gli ospiti e di aiutarli a recepire il messaggio del Meeting, ma anche di venire incontro alle loro aspettative. Perciò per il numero e la qualità degli impegni, finivo per perdermi anch’io pezzi importanti di Meeting, salvo rileggere a casa, a distanza di settimane, gli interventi tematici o i cataloghi delle mostre non visitate.
Quest’anno, invece, liberato dall’assillo di relazioni “mondane”, credo di aver afferrato nel tema (Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo), nei contenuti e nel metodo di conduzione degli incontri un messaggio di difficile comunicazione, ma essenziale. Lo dico un po’ rozzamente, (ma il lettore curioso potrebbe approfondire riprendendo i principali interventi sul sito www.meetingrimini.org): il tentativo dell’uomo di dare un senso all’incontro col destino si esaurisce in un rapporto orizzontale, si stringono alleanze o si affrontano conflitti con i propri pari, al livello delle relazioni gestibili con le proprie forze e il proprio intelletto, esaurendo la domanda sul destino nella pretesa di una conformità alla propria aspettativa. Da questa posizione nascono molte cose, non necessariamente tutte cattive: le ideologie, le teorie economiche, il welfare, i fondamentalismi, i nazionalismi, i partiti, le consorterie, i gruppi di pressione, le organizzazioni degli interessi legittimi (e anche di quelli non legittimi) e gli infiniti altri tentativi parziali di risposta al bisogno umano.
A questo punto mi entra nel discorso il paragone con Napoli, di fronte alla mia incapacità di giudicare a priori il triste fatto della morte del ragazzo ad opera del carabiniere. Non si tratta di schierarsi col ragazzo o col carabiniere, con il quartiere Adriano o con lo Stato; non c’è una soluzione “tecnica” che spieghi o che ponga rimedio ad una morte, non solo di un giovane, non solo se involontaria. La cosa che mi ha fatto più tristezza è stata leggere o sentire dalle autorevoli persone interpellate da giornali, radio e televisioni, che le richieste per avviare un cambiamento erano di più cose: più poliziotti, più scuole, più soldi, più lavoro, più Stato, più Comune. Non mi scandalizza questo, sono richieste giuste. Non mi scandalizza nemmeno la risposta del quartiere, che manifesta contro le forze dell’ordine e contro lo Stato e che non ha mai manifestato contro gli omicidi di camorra: è semplicemente scattata la risposta ORIZZONTALE: il nostro potere contro il vostro, il nostro giudizio, il nostro senso della realtà contro il vostro. E se vogliamo allargare lo sguardo, è lo stesso principio che conduce i giovani islamici “europei” nelle file dei combattenti per l’ISIS.
Giusto, direbbe il mio amico Sebastiano, ma che c’entra il Meeting?
Parlo di me stesso, della mia esperienza personale. Proprio nella perdita di importanza delle relazioni “orizzontali” del Meeting di quest’anno ho visto riemergere, non solo come discorso, il fondamento della sua nascita e del suo successo: la consapevolezza che l’uomo non solo non si salva, ma nemmeno si conosce da solo e che il confronto tra culture e popoli diversi (quest’anno particolarmente ricco) non serve a trovare minimi comuni denominatori, che sarebbero veramente minimi, ma aiuta a ricollocare la ricerca di significato che caratterizza la ragione umana nella sua dimensione VERTICALE, come uno sguardo pieno di rispetto e di gratuità quando lo rivolgiamo verso il basso (dobbiamo farlo!), verso la realtà dura, fatta di miserie umane, di peccato e di menzogna. Ma se osiamo rivolgerlo verso l’alto non troviamo il vuoto o il nulla e nemmeno un mondo delle idee sostanzialmente estraneo alla realtà e impotente a cambiarla; troviamo il messaggio di un incontro con il destino già avvenuto nella storia, il cui riconoscimento non pretende di imporsi, ma si affida alla nostra libertà.
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