Ignatius – anzi Ighnecios, all’inglese – la spara grossa, al preside della St. Kizito, periferia di Nairobi: “Da grande? Voglio fare il presidente del Kenia!”. Ma nessuno ride alla battuta di questo negretto scalzo dello slum di Kibera, che un prete ha convinto a presentarsi alla scuola professionale cattolica. Anzi, gli dicono: “Allora dovrai lavorare duro”. “È stata la prima volta che qualcuno mi prendeva sul serio, che ho capito che io valevo qualcosa”, racconta oggi, fiero del suo diploma di informatica, in un video della mostra “Generare bellezza, nuovi inizi alle periferie del mondo”, allestita da AVSI al Meeting 2014.
Un meeting cha da sempre si chiama “per l’amicizia tra i popoli”, ma che quest’anno, alla trentacinquesima edizione, ha trovato una dimensione dell’incontro e del confronto ancor più profonda: a partire dal titolo, “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”.
Impresa impossibile, raccontarne tutta la ricchezza e la profondità di provocazione, domanda, sfida e anche, sì, esame di coscienza: non sul “non ho fatto abbastanza”, ma sul “chi sono e cosa voglio davvero dalla vita”. Tento con tre parole: il desiderio del bello, del vero e del giusto come cifra comune ad ogni uomo
Non sono stati solamente Tolstoj e Peguy, Ungaretti e Lussu, giganti della letteratura, o Millet e le antiche icone etiopi sul versante dell’arte, dove abbiamo respirato l’anelito al bello dei poeti e degli artisti; e nemmeno solo le fantasmagoriche fotografie dei pianeti e della galassia inviate dai due Voyager che stanno lasciando il nostro sistema solare, proiettandoci in un universo di bellezza indicibile che sposta il nostro centro di gravità ben al di fuori e al di là del nostro giardinetto terrestre; non solo le scoperte archeologiche siriane, testimoni di un remoto passato carico di insegnamenti. Ma soprattutto sono stati gli incontri con chi vive, oggi e non poi tanto lontano da noi, fatti straordinari e drammatici, che svelano al proprio cuore la verità di sé, l’interrogativo ultimo: cosa vale davvero? E che, proprio da questa lealtà con sé stessi, hanno attinto la forza per dare vita a insospettati germogli di fratellanza, condivisione, speranza, perdono e rinascita.
Ce lo testimonia Mohamed, vent’anni, la voce ormai rauca, guidandoci nell’avventura dello SWAP, un gruppo nato a Milano tra studenti egiziani, cristiani copti e musulmani, insieme: che hanno scelto di raccontare l’Egitto della rivoluzione dall’esperienza dei loro parenti e amici, come realtà di unità e speranza nel contesto di una violenza terribile.
È Boris, dottorando in Filosofia a Kiev, che ha vissuto giorno per giorno il Maidan – la piazza dove gli Ucraini hanno manifestato per tre mesi in nome della propria dignità – e dove la croce di pochi sacerdoti, ortodossi e cattolici insieme, ha fermato più di una volta gli attacchi armati. Boris che si aspetta, al suo ritorno in Ucraina, di essere richiamato nell’esercito nonostante sia studente, “perché da noi c’è la guerra”, ma è lieto “perché il nostro popolo è tornato a vivere da uomo”. Sono le foto terribili che documentano la persecuzione dello sparuto popolo cristiano in Medio Oriente, dove un patrimonio d’arte e storia sta bruciando nell’indifferenza di troppi, ma dove ancora i cristiani vogliono restare. È la piccola sgangherata scarpa di legno (come non pensare a Jannacci e al suo barbùn, o al mondo piccolo di Guareschi con grosse stringhe di corda, che un papà della baraccopoli ha costruito per il figlio: per insegnargli ad allacciarsi le scarpe, simbolo in Africa della speranza di uscire dalla povertà. Tu ce la farai, dice questa rozza scarpa, perché tu vali molto di più di quello che appare.
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