A un primo sguardo due filosofie, due tipi di meditazione teologica si presentano al cristiano nell’orientarsi sulla via della salvezza. La prima, ispirata a una concezione apocalittica della storia, è quella di Agostino, che colloca la filosofia decisamente in sottordine rispetto alla verità rivelata e fa discendere la possibilità di una conoscenza superiore solo attraverso un’illuminazione divina, mentre il suo pessimismo radicale mette seriamente in forse la possibilità di riscatto dell’uomo rispetto alla caduta del peccato originale.
Tommaso invece della vita nutre una concezione profondamente ottimistica, solare, in un perfetto equilibrio tra fede e ragione (due modalità di accesso alla stessa verità). “I doni della grazia si aggiungono alla natura in modo da non toglierla di mezzo, bensì da perfezionarla”. E la fede è anche un atto intellettivo, la conoscenza è necessaria per raggiungere la fede. Per Agostino invece la ragione può attingere le verità assolute, purché riesca a partecipare di queste in una esperienza esistenziale di tipo totalizzante. In questi nostri tempi, in certo modo tragici, si è indotti a sintonizzarci colla visione agostiniana, mentre alla luce della speranza si deve ancora confidare, pur all’interno delle profonde inquietudini del nostro tempo, nelle possibilità che la scelta di Tommaso offre per aprire la Chiesa verso le istanze della modernità, per la soluzione dei gravi problemi che ci affliggono.
Nato da nobile famiglia nel castello di Roccasecca, in un ambiente colto e agiato, Tommaso d’Aquino (1225-1274) si rivelerà taciturno e tranquillo, di fisico robusto e imponente e di carattere riservato e schivo (come ce lo presenterà Alberto Magno, filosofo domenicano e suo maestro a Colonia del 1248 al 1252). Essendo il più piccolo in famiglia e perciò destinato naturalmente alla carriera ecclesiastica, delude il progetto dei genitori di farlo monaco a Montecassino e quindi benedettino preferendo l’ordine domenicano. Negli studi condivide con Alberto l’apertura ai contenuti del corpus aristotelico; negli anni successivi a Parigi redige il” Commento alle sentenze di Pietro Lombardo” (testo di riferimento nella facoltà teologica): è del parere che l’esistenza di Dio debba essere dimostrata a partire dall’esperienza delle cose sensibili. Compone pure il trattato “L’ente e l’essenza” (prime nozioni fondamentali per lo sviluppo della conoscenza). Divenuto da baccelliere magister nel 1256, elabora diversi scritti (il commento al “De Trinitate “ di Boezio, le Quaestiones disputatae de veritate e le Quaestiones quodlibetales, tenute due volte all’anno in Avvento e in Quaresima con l’intervento di personalità esterne )e attende alla prima redazione della “Summa contra gentiles” sui temi della Trinità, dell’Incarnazione e dei Sacramenti. Nel 1259 ritorna in Italia; nel 1265 si trasferisce a Roma per fondare e dirigere il nuovo Studium di Santa Sabina : qui si dedica alla stesura della “Summa Theologiae”, tripartita, ma rimasta incompiuta : il Prologo la dice concepita per l’istruzione dei novizi. A un secondo periodo parigino (1269-1272) appartengono la continuazione della Summa, il “De unitate intellectus”, in polemica cogli averroisti e il “De aeternitate mundi”.
Nella prima Tommaso confuta la convinzione di Averroè che l’intelletto possibile è generale e non individuale (unicità dell’intelletto per tutti gli uomini), corporeo e quindi perituro; per Tommaso si tratta invece di un intelletto individuale, non universale, che si manifesta in operazioni di astrazione non prescindendo dall’esperienza individuale sensibile (fa seguito all’interpretazione di Avicenna che vi vede la parte dell’uomo che sopravvive alla morte). Nella seconda opera, mentre Averroè afferma l’eternità della creazione, del mondo, Tommaso dirime la questione affidandosi alle Scritture, non alla ragione: mundum incoepisse est credibile, non autem demonstrabile, vel scibile: ha avuto inizio nel tempo, ma non possiamo dimostrarlo. Anche per Bonaventura il mondo non è sempre esistito.
Nel 1272 Tommaso a Napoli dirige lo Studium generale dell’Ordine. Su istanza di Papa Gregorio X all’inizio del 1274 parte alla volta di Lione per partecipare al Concilio, ma per l’aggravarsi delle condizioni si ferma nell’abbazia cistercense di Fossanova, dove muore il 7 marzo 1274.
Per Tommaso la garanzia dei valori razionali è in Dio, mentre la garanzia dell’esistenza di Dio è nella dimensione razionale della dimostrazione. Separa la metafisica in quanto speculazione sull’essere con metodi razionali dalla teologia considerata come scienza del divino e non accetta comunque la concezione averroistica della doppia verità (quella filosofica di contro alla dottrina rivelata). Integra il pensiero redivivo di Aristotele nel Cristianesimo e sul principium firmissimum di identità e non contraddizione affronta la totalità del reale. La metafisica è la scienza dell’essere in quanto essere, tutti i concetti sono riconducibili ad esso e l’essere è la stessa cosa che il vero: ens et verum in ipsum convertuntur, sono intercambiabili. L’essere è un predicato che Dio ha in comune con tutte le creature, ma si tratta di una analogia di proporzionalità, non di proporzione : nessuna creatura intrattiene una relazione diretta con Dio, condivide cioè direttamente con Dio qualcosa. Ed è un’analogia che è al contempo identità di identità e differenza, un rapporto che comporta partecipazione di entrambi e differenziazione da entrambi. Per E. Gilson la metafisica di Tommaso è un’ontologia dell’esistenza: la forma è principio di esistenza in quanto determina e attualizza la sostanza e c’è un primato radicale dell’esistenza sull’essenza. L’esistere è l’elemento primordiale della realtà. Non si tratta di un essere inteso in senso indeterminato, ma di un ente singolarmente esistente. Onde si può parlare di metafisica del concreto. Dio è identità di essenza ed esistenza, la sua essenza è totalmente in atto: actus purus, ens per ipsum subsistens.
Tommaso parte dall’attività conoscitiva, non da quella contemplativa, per la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Per Bonaventura invece la creatura è rinviata a Dio simbolicamente, misticamente e misteriosamente nell’attività contemplativa. Lo fa a posteriori e non a priori come Anselmo. Si risale a Dio partendo dall’analisi del divenire proprio dell’universo sensibile. Cinque le prove: movimento, causa efficiente, del possibile e del necessario, dei gradi di perfezione, del governo delle cose. E’ comunque impossibile che cosa Dio sia (quid sit).
L’antropologia tomistica si fonda sulla concezione ilemorfica di Aristotele : l’uomo è sinolo di materia (corpo ) e forma (anima), solo che l’anima possiede un essere autonomo rispetto al corpo e non muore quando questo si corrompe.
La gerarchizzazione dell’universo fisico per Tommaso corrisponde a quella dell’universo spirituale. Anche l’etica corrisponde a una struttura gerarchizzata di fini. L’uomo è un essere totalmente autonomo, libero, perché tale l’ha creato Dio (l’agire umano è causa di se stesso) ed è orientato a Dio come felicità assoluta, in un desiderio (appetitus) tendenzialmente infinito. La legge naturale è partecipazione della legge eterna nella creatura razionale. Quanto alle forme di governo nessuna per Tommaso è illecita a priori, se non degenera in tirannide. L’origine del potere legislativo è fatta risalire a Dio, ma non immediatamente (quel che importa è il consenso del popolo).
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