Nell’approssimarsi dell’anniversario della morte di Papa Paolo VI è giusto rievocare – anche in linea con le riflessioni di quest’anno – il suo stile pastorale che, tra l’altro, si è avvalso anche del segno del pellegrinaggio, siamo a cinquant’anni dal primo viaggio, in Terra Santa, in cui si manifestò al mondo in maniera inequivocabile il suo zelo missionario. Del resto il nome assunto – lo stesso dell’apostolo delle genti – lo lasciava presagire…
Già quando fu mandato come arcivescovo a Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, facendo l’ingresso nella sua diocesi, si era chinato a baciare la terra lombarda; lo stesso gesto ripeterà successivamente da papa, primo pontefice della storia moderna ad andare in terre lontane.
Chiarì subito lo scopo e il carattere: un pellegrinaggio “religioso, per rendere onore a Cristo, nella terra che la sua venuta al mondo ha reso santa e degna di venerazione da parte dei Cristiani”. E inoltre “rapidissimo, con carattere di semplicità, di pietà, di penitenza, di carità”.
Per il suo viaggio internazionale la Terra Santa assunse valore simbolico: quello era un ritorno alle sorgenti della fede cristiana e della vita della Chiesa. Il Papa, in altre parole – nel bel mezzo del Concilio – voleva far capire a tutti quale doveva essere la missione della Chiesa, proprio ritornando nei luoghi in cui il Signore Gesù l’aveva affidata a Pietro e ai suoi successori. Decentrandosi da se stessa, la Chiesa doveva ricentrarsi su Cristo e sulla propria origine.
Coi successivi viaggi in India e a New York, invece, la Chiesa veniva invitata a mettersi in cammino verso nuove frontiere, attraverso l’apertura al mondo, ai cristiani non cattolici, ai credenti di altre religioni, ai non credenti, alle culture e agli spazi dell’azione missionaria.
Ecco perché il cardinal Angelo Scola, commemorando quello storico pellegrinaggio, ha invitato a cogliere “la sua imminente beatificazione come una grande occasione per riscoprire l’importanza di una figura e di un pontificato che hanno aperto la via ai successori”.
Giustamente quello fu definito un pellegrinaggio storico, breve, ma quanto mai significativo, perché in un colpo solo colmò quasi duemila anni di storia del Cattolicesimo. Commovente l’accoglienza ricevuta dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli e dagli ortodossi. Commenterà lui stesso: «Siamo davanti a cose che, se gli indizi iniziali tengono fede a ciò che promettono, sono veramente grandi, e dobbiamo dire travolgenti: siamo davanti forse a qualcosa di divino, soprannaturale. Ma il momento in cui io mi sono sentito soffocare dalla commozione e dal pianto è stata la Messa sul Santo Sepolcro, nel proferire le parole nella consacrazione e nell’adorare la presenza sacramentale di Cristo là dove Cristo consumò il suo sacrificio. Là ho pregato per voi, collaboratori, con tutti i vescovi del mondo, i sacerdoti, i fedeli; e ho pregato quel Gesù, che mi ha dato questa grande fortuna di sentire così vicina la sua presenza, la sua azione, la sua assistenza, che mi riempisse di grazie e di gaudio, non solo per la mia povera anima».
Anche chi di noi è stato in Terra Santa, per onorare – nei luoghi santi, dove Cristo nacque, visse, morì, risorse, salì al cielo – i misteri primi della nostra salvezza (l’Incarnazione e la Redenzione) vive la fede nel Signore e l’amore alla Chiesa con maggior ardore ed entusiasmo!
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