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Politica

LEADERSHIP, POTENZIALITÀ E RISCHI

GIUSEPPE ADAMOLI - 01/08/2014

Renzi con Federica Mogherini

In sette/otto mesi la politica italiana ha conosciuto un profondo cambiamento. Matteo Renzi ha scalato il PD, si è insediato al governo, ha vinto le europee con il 40,8 % dei voti.
Il PD non è certamente più l’erede del PCI mentre non lo era quasi mai stato della sinistra democristiana. Un forte impulso in questa direzione lo aveva dato Walter Veltroni nel 2008 ma solo ora possiamo dire che la svolta è avvenuta.
Questa premessa è indispensabile per immettersi nella prospettiva, molto promettente, che si è appena dischiusa e che tuttavia è carica di trappole e di rischi. Alcuni li ha disseminati lo stesso Renzi nel tentativo, riuscitissimo, di ottenere una grande vittoria elettorale che legittimasse la conquista di Palazzo Chigi senza il passaggio elettorale. Mi riferisco, ad esempio, allo slogan “una riforma ogni tre mesi” rispetto al quale c’era da sorridere un po’ divertiti e un po’ sconcertati.
La cosa importante è però che Renzi sia riuscito ad imporsi nettamente su un partito che addirittura rifiutava in via teorica il concetto di “leadership forte” commettendo un errore di portata storica. Ora però la deve esercitare con sapienza e con l’intelligenza degli avvenimenti e delle realtà che cambiano continuamente.
Su questa strada Renzi incontrerà parecchie mine vaganti. Prendiamo l’Europa che sarà decisiva per le politiche programmate per l’Italia. Renzi ha puntato molto sul semestre di presidenza italiana. Ma l’Unione Europea, come ha dichiarato Romano Prodi che se ne intende, sarà a pieno regime solo in autunno quando la formazione della Commissione (il governo europeo) sarà stata completata con l’approvazione del Parlamento europeo e cioè quando a Renzi resterà solo qualche mese di presidenza.
Questo slittamento è dovuto anche (soprattutto?) alla volontà italiana di imporre Federica Mogherini come ministro degli esteri europeo. Non poteva l’Italia prendersi la presidenza del Consiglio europeo con Enrico Letta che probabilmente sarebbe stato accettato da tutti?
Questa è la carica più importante, forse alla pari con il presidente della Commissione. È stato giusto far cadere questa ipotesi per non avere Letta (un possibile antagonista di Renzi in Italia) in un ruolo chiave dell’Unione europea?
Non è forse vero che i leader più forti, amati e autorevoli sono capaci di trasformare in vittorie di domani le presunte sconfitte personali di oggi? Sono queste, per Renzi, le mine vaganti da aggirare con l’intelligenza degli avvenimenti. Proprio chi ritiene che il premier sia la risorsa politica più importante del Paese e lo sente come proprio leader ha il dovere di lanciare questi allarmi.
Da approvare senza riserve, invece, il metodo tenuto dal governo sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale con il coinvolgimento di tutte le forze disponibili. Queste riforme sono indispensabili per ammodernare la struttura e la macchina legislativa dello Stato e rappresentano la premessa per ottenere il disco verde dall’Europa su flessibilità, crescita, occupazione.
Tuttavia le riforme più importanti sono per il momento solo tracciate in linea di massima: pubblica amministrazione, lavoro, giustizia. Quest’ultima sarà la più difficile. Senza cambiamenti reali in questi tre settori vitali per l’economia gli investimenti stranieri resteranno una chimera. È su questi terreni che dovrà svilupparsi e vincere la leadership di Renzi.
“It’s the economy, stupid”, fu la famosissima frase che Clinton disse a Bush dopo averlo battuto alle elezioni del 1992. Mi auguro che nessuno lo possa dire a Renzi la prossima volta che si vota.

 

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