È in atto una riflessione di notevole interesse sulla condizione dell’area varesina e sulla necessità di superare i confini comunali esistenti. L’ha sollevata il consigliere del Comune di Varese Nicoletti, suscitando reazioni e perplessità.
Credo che non sia condivisibile la proposta di accorpamento in una sola unità comunale dei Comuni adiacenti al Capoluogo, ripetendo l’operazione realizzata nel 1927 che unì a Varese i Comuni di Bobbiate, Masnago, Sant’Ambrogio, Velate, Santa Maria del Monte, Induno Olona (che nell’ultimo dopoguerra riconquistò l’autonomia), Bizzozero, Capolago, Lissago. Varese diventava capoluogo di Provincia e doveva quindi essere adeguata demograficamente e territorialmente.
Avevo già considerato la cosa con un articolo dello scorso aprile su RMFonline. Consideravo la saldatura edificata di fatto avvenuta con alcuni Comuni della cintura urbana, la disseminazione pure edificata verso altri. A loro volta articolati con le edificazioni dei Comuni adiacenti. Una realtà innegabile. Che preoccupa perché non pone i necessari interrogativi su un futuro che non può non essere condiviso e, direi, ineludibile e necessario.
Poniamoci ancora questi interrogativi.
Ha un futuro proprio, non rinunciabile, la bellezza di quest’area ricca di storia, di abitanti, di cultura, di consistenza economica? Ha un futuro possibile e desiderabile?
Può avere rilievo un’offerta di accoglienza congressuale ancora da adeguare, di rilancio turistico da ricostruire, di riorganizzazione dei luoghi della cultura alimentati anche dalla presenza universitaria, di ripresa economica che ne deriverebbe, di connessione ragionevole e desiderabile con l’adiacente realtà ticinese dopo secoli di storica separatezza?
Le ormai vicine elezioni provinciali di secondo livello non possono porsi solamente, o prevalentemente, problemi di alleanze per reciproche convenienze. Ma questi problemi. Che purtroppo anche nel recente passato sono stati poco considerati.
Sottolineo ancora una volta la necessità che sia il Comune capoluogo ad avviare questo discorso. Che dovrebbe essere al centro dell’impegno politico che dovrà preparare le prossime elezioni per il rinnovo dell’Amministrazione di Varese.
Perché il Comune di Varese negli oltre cinque anni occorsi per la redazione del Piano di Governo del Territorio (PGT) non si è reso conto della anacronistica considerazione del proprio ambito territoriale separato dal contesto, di cui è piccola parte, bellezza più volte offesa soprattutto nell’ultimo dopoguerra, che ha bisogno di riacquistare un ruolo adeguato attraverso la collaborazione intercomunale della Città reale?
Chi ha l’autorevolezza di promuovere questa collaborazione se non il Comune Capoluogo? Perché di collaborazione, fra Comuni che mantengano la propria autonomia, deve trattarsi. Per definire insieme il futuro di una grande Comunità. Questo è un compito da assumere con la competenza e rappresentatività adeguate che devono necessariamente andare oltre la frammentazione attuale.
L’Amministrazione provinciale, oggi dall’incerto futuro, non ha affrontato adeguatamente nel recente passato anche le relazioni a cavallo del confine con la Confederazione svizzera. Siamo una realtà prealpina ammirata da secoli, oggi in un rapporto particolare e in qualche modo conflittuale con i nostri cugini ticinesi da cui siamo politicamente separati da cinquecento anni, ma oggi sostanzialmente coinvolti in un processo di interrelazione economica da gestire con intelligenza e rispetto. Che va considerata con la necessaria urgenza, perché coinvolgono migliaia di lavoratori e di famiglie.
Il rilievo economico di questi problemi è evidente. Si tratta di un rilievo che non prescinde dalle sue ricadute sul territorio. La bellezza di questi nostri luoghi va recuperata e difesa con una pianificazione e una gestione territoriale adeguata non praticabile in ordine comunale sparso. Si tratta di bellezza e anche di rilevanza economica di questa bellezza. Le montagne vicine, i laghi, le Alpi che attraevano imperatori e regine alla fine dell’Ottocento sono ancora qui ad osservarci stupefatti dalla nostra inadeguatezza. L’accoglienza che potremmo rinnovare oltre cent’anni dopo in occasione dell’Expo potrebbe ripartire da una rinnovata consapevolezza, da una forte iniziativa.
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