L’ipotesi è quanto mai affascinante: gli scavi in corso dentro e intorno alla cripta del santuario di Santa Maria del Monte starebbero portando alla luce reperti d’età tardo romana – databili intorno al Tre – Quattrocento dopo Cristo – che rimandano indietro le lancette della storia al tempo di Sant’Ambrogio (vissuto tra il 340 e il 397 dC) e del leggendario altare che l’arcivescovo di Milano avrebbe eretto in cima al monte per ringraziare la Vergine della vittoria morale conseguita sugli Ariani, ottenuta con la parola e con la veemenza della predicazione, orale e scritta, senza spade sguainate come racconta la tradizione popolare. Una tesi, quella dell’altare, ammantata di leggenda che coincide però con l’epoca di costruzione della torre degli Ariani che si trova all’interno del muro di cinta del monastero delle Romite.
La campagna archeologica promossa e finanziata con ottocentomila euro dalla Fondazione Cariplo, dalla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese e dalla Regione Lombardia in vista dell’Expo va dunque oltre le più rosee previsioni. Secondo le indiscrezioni, per ora non confermate dalle Soprintendenze che si riservano di valutare la portata delle scoperte e di comunicarle nel bollettino ufficiale, sarebbero emerse parti di muratura scavando nel tratto finale del corridoio che corre di fianco alla navata del santuario e conduce alla cripta. Si tratta di tracce antecedenti l’età carolingia (già ipotizzata nel 2013 con il ritrovamento di lacerti nel pavimento della cripta) e di quel fatidico 8 giugno 922 dC a cui risale la pergamena conservata all’Archivio di Stato di Milano che attesta, per la prima volta, l’esistenza dell’“antica chiesa di Santa Maria sopra Vellate”.
L’architetto Gaetano Arricobene che dirige i lavori su incarico della parrocchia di Santa Maria del Monte sotto il controllo della Soprintendente ai beni archeologici Barbara Grassi si limita a ribadire “l’eccezionale importanza dell’intervento di consolidamento, restauro e adeguamento impiantistico della cripta per rendere fruibile lo spazio che testimonia le origini della fede al Sacro Monte di Varese”. Ma, già ora, si pone il problema di come rendere pubbliche queste importanti scoperte archeologiche (tra cui alcune monete antiche).
Ci si domanda: per l’Expo 2015 sarà aperto ai turisti il corridoio che conduce alla cripta, magari a gruppi di persone come accade a Milano per il Cenacolo vinciano? Si potrà ammirarle entrando a pagamento dal Museo Baroffio che una porticina adibita a uscita di sicurezza collega con il corridoio? Sono problemi forse prematuri da porre adesso ma la “soluzione Baroffio” consente di risparmiare doppio personale e misure di sicurezza.
L’ipotesi di collegare direttamente il museo Baroffio al corridoio della cripta fu prospettata già da monsignor Pasquale Macchi come soluzione più razionale, un “corridoio didattico” con pannelli e altre reliquie che raccontano la storia del Sacro Monte. Per i turisti sarebbe un interessante percorso da seguire. I restauri per climatizzare, illuminare e rinforzare la volta della cripta e gli scavi per canalizzare gli impianti nel pavimento sono iniziati nel 2013, circoscritti all’aula di trentasei metri quadrati con quattro esili pilastri in pietra e una serie d’affreschi d’origine trecentesca. La cripta, sotto la verticale del seicentesco altare marmoreo del santuario che pesa settantadue tonnellate, fu il primo luogo di culto in cima alla montagna intorno al quale si sviluppò la devozione mariana e, nei secoli successivi, vi furono aggiunte altre costruzioni finché il santuario assunse l’aspetto attuale.
Subì un intervento di sostegno nel 1930, ai tempi del cardinale Schuster, con la posa di sei pilastri di mattoni sormontati da due lunghe putrelle orizzontali di ferro per sorreggere il soffitto. Gli scavi all’interno della cripta interessano una superficie di circa venti metri quadrati e i frammenti portati alla luce dall’archeologo Roberto Mella Pariani, rimuovendo strati di pavimento, rivelarono lo scorso anno l’esistenza di resti d’età carolingia. Si trattava di materiali di risulta che contengono parti organiche, legni, noccioli di frutti e cocci di ceramica da cui si può risalire al periodo di utilizzazione. Finora non sono state trovate tombe, celle sepolcrali e ossa che, sottoposte ai moderni accertamenti tecnologici e agli esami del DNA, possono aiutare a definire con maggiore precisione l’età della chiesa.
Gli affreschi trecenteschi si sono ben conservati nel corso dei secoli perché l’uomo è entrato solo eccezionalmente nella cripta per eseguire opere conservative. Il pool della Soprintendenza ha installato sensori della temperatura e dell’umidità e il nuovo impianto di climatizzazione consente di rispettare le condizioni ambientali. In un prossimo futuro sarà forse possibile aprire una “botola” di cristallo nel pavimento del coro del santuario, dietro all’altare, per osservare i sottostanti materiali di costruzione addossati all’esterno dell’abside della cripta. Ciò consentirà di farsi un’idea di che cosa c’era fuori della chiesa paleocristiana al tempo della sua costruzione. In un secondo momento si procederà al restauro pittorico degli affreschi che, ha rivelato Isabella Marelli della Soprintendenza regionale ai beni artistici, “sono stati opportunamente velati sino al termine dei lavori di consolidamento”.
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