Ormai da quattro anni Salvatore Furia, il “Prof.” come amavamo chiamarlo, se ne è andato tra le sue stelle lasciando un vuoto pesante nella città di Varese. La “Città Giardino “ è sicuramente meno verde senza di lui, senza le sue battaglie in difesa del paesaggio, della sua montagna, del suo lago, degli alberi e dei giardini.
Bene ha fatto la Società Astronomica Schiaparelli, supportata lodevolmente dal Comune di Varese, a ripercorrere le attività e la storia della Cittadella di Scienze della Natura di Campo dei Fiori in una mostra inaugurata martedì 15 luglio nei porticati d’accesso a Palazzo Estense e aperta gratuitamente al pubblico fino al prossimo 3 Agosto. Una ventina di pannelli in progressione cronologica ben illustrano la nascita – quest’ anno ricorre il cinquantesimo della costruzione della prima cupola astronomica e della struttura logistica a Cima Paradiso – e la vita di questa eccellenza del territorio varesino.
Un’impresa e una storia epica quella che scorre davanti ai visitatori che si soffermeranno, certo numerosi, davanti ai cartelloni allestiti dai ragazzi dell’associazione astronomica; una storia unica nel mondo (penso) perché l’intuizione e il sogno di un unico uomo hanno generato un movimento spontaneo e volontario che poi questo sogno ha realizzato: qualcuno ha messo ingenti risorse finanziarie sotto forma di donazioni, molti altri hanno messo lavoro, braccia, intelligenza, passione ed amore trascinati nella realizzazione di un progetto che all’inizio sembrava essere utopia o pazzia.
La Cittadella di Scienze popolari è un po’ la versione laica – mi si perdoni il raffronto – della Via Sacra del Sacro Monte, nata, trecentocinquanta anni prima, dal sogno di Padre Aguggiari e realizzata in gran parte dall’opera volontaria e gratuita degli umili fedeli.
Le foto della mostra ripercorrono questa lucida “follia”, questo smisurato amore perla Natura che ha portato intere generazioni di varesini a credere e a lavorare gratuitamente, a lasciar da parte partigianerie e polemiche e a impegnarsi, come sempre si auspicherebbe, nei fatti per realizzare qualcosa di bello ed utile per la città e il bene comune.
Immagini di orizzonti infiniti, di bellezze naturali, di boschi e monti, di pianeti, di telescopi e di fredde sere spese nell’osservazione della volta celeste si confondono con le immagini dei volontari della Cittadella di Scienze della Natura al lavoro: giovani e maturi studenti, affermati professionisti, operai, professori intenti a spianare la strada d’accesso alle cupole, a rimuovere massi, ad asfaltare, a montare pesanti strutture in acciaio; tutti a rincorrere l’idea geniale del fondatore di creare una scienza non elitaria ma popolare, alla portata di tutti, senza fini di lucro o di profitto. Bellissime fotografie di cieli stellati, di pianeti e di asteroidi, ma anche di alberi, di fiori comuni e di fiori rari, di ragazzi intenti alle semine, a spalare neve.
E gli stessi ragazzi li ritroviamo più avanti negli anni a vestire i panni di affermati e brillanti conferenzieri o ricercatori universitari. E il Prof. immortalato anche lui a lavorare e a dare l’esempio. Come i generali che si rispettino non era uso defilarsi, ma il suo posto era sempre e comunque in prima linea, capace di usare ora la spada ora il fioretto. Vediamo così immagini sbiadite di un uomo intento a far scoppiare mine per aprire la strada a Punta Paradiso, sorridente come lo è chi insegue, pur tra mille difficoltà, un sogno; sorridente come chi sa di lottare e lavorare per qualcosa di grande, per un’ideale. Leggiamo il suo disappunto nell’apprendere che a fianco dell’osservatorio costruiranno una antenna della RAI; leggiamo le sue paure, le sue certezze e i suoi stupori nell’ammirare le bellezze del Creato.
Il Prof. era certo unico: capace alla bisogna di essere diplomatico; lo vediamo agli inizi degli anni ’60 intento a raccogliere fondi per i suoi scopi ora al tavolo con il Sindaco Oldrini, il prof. Ferrante e il prof. Giudici, Presidente dell’Ente Provinciale Turismo ora ad una conferenza del Rotary; e sicuramente da queste serate non usciva mai a mani vuote! Anzi i varesini si dimostravano generosi e munifici: potenza delle idee e dei sogni! Un affabulatore se necessario, ma anche capace, quando necessario, di interventi, parole e azioni politicamente scorrette. Famoso negli anni ‘70 il suo gesto di rovesciare nella fontana di Piazza Monte Grappa un carriola di putridume a mò di eclatante protesta contro le condizioni delle acque inquinate del nostro lago.
Tanti i riconoscimenti ottenuti nella sua vita; un pannello li riporta; un giusto riconoscimento a chi si è speso, e non certo solo a parole, per il bene collettivo.
Una foto in bianco e nero lo ritrae nel mezzo di un folto gruppo di ragazzi “pionieri” cioè di quei volontari che contribuirono materialmente, con sudore e braccia, alla costruzione dell’osservatorio: seconda metà degli anni ’60. “Formidabili quegli anni”, scriverà poi qualcuno. In questa sbiadita immagine si riconoscono alcuni giovani che, sotto diverse bandiere, diventeranno proprio in quegli anni i leader della contestazione e delle lotte studentesche che infiammarono anche Varese. Bene, eravamo tutti lì uniti a lavorare gomito a gomito, a scavare, a realizzare qualcosa che diventerà poi concretezza e realizzazione di un sogno.
Da questa foto è facile ammettere che il Prof, prima che naturalista, astronomo e ricercatore insaziabile, fu anzitutto e soprattutto un grande educatore. Educò intere generazioni al valore dell’impegno volontario per raggiungere l’obiettivo di rendere semplice qualcosa di apparentemente complicato, la scienza.
Di certo anche un lungimirante visionario: aveva capito, in uno straordinario anticipo sui tempi, che ambiente non vuole solo dire qualità della vita, bellezza, svago e conoscenza, ma può divenire polo di attrazione turistica e quindi di ritorno economico per il territorio. E questo senza nemmeno grandi investimenti finanziari: il nostro capitale lo abbiamo già in casa, senza spesa, è il nostro paesaggio! Basterebbe conservarlo! Penso gli sia bastato un attimo per comprenderlo: arrivando in treno a Varese nel 1940 da Catania era stato abbagliato dal nostro lago, dal Sacro Monte, dai nostri giardini con i loro possenti alberi; se ne era innamorato tanto da non poter più andarsene da Varese e divenire varesino più di tanti varesini.
Pensavo a queste cose osservando all’inaugurazione i pannelli della bella mostra del cinquantesimo l’altro giorno a Palazzo Estense; e un sorriso amaro mi è scappato pensando alle recenti polemiche sorte tra i diversi uffici deputati alla promozione turistica del nostro territorio e, a quanto si legge, in perenne lotta tra loro a discapito oggettivo del bene comune.
Caro Prof. tu sapresti bene cosa fare per rilanciare questa nostra povera “Città di Giardini”: basterebbe così poco! Solo dell’impegno e del buon senso; il tesoro lo abbiamo già in casa!
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