Ogni giorno ci investono notizie spiacevoli. Giovani accampati la notte nei portici defilati del centro cittadino, gruppi di immigrati invadenti e fra loro litigiosi, atti vandalici di diversa gravità. In una scena urbana che presenta una diffusa necessità di maggiori cure.
Non solo pozzetti intasati o asfalto sconnesso. Ma anche frammentazione, perdita dei luoghi di riferimento della comunità varesina del passato quali erano, anche, le attività commerciali del centro cittadino e dei rioni. Trionfano i grandi magazzini, i supermercati dove l’incontro è casuale, il rapporto con gli altri è di prevalente semplice utilità.
Le relazioni sociali reggono nelle comunità parrocchiali, attorno e dentro le scuole, nelle associazioni. Questo ci conforta e ci indica percorsi da compiere.
Innanzitutto va ripensata l’organizzazione della città, vanno valorizzati i nuovi simboli di appartenenza, va ridata speranza civile nella sua costruzione. C’è uno stretto rapporto fra l’urbanistica e la sociologia, fra i piani regolatori (oggi in Lombardia i PGT) e la comunità. Per questo la pianificazione del Capoluogo e degli altri Comuni dell’Area varesina appare inadeguata, non accettabile. Perché prevalentemente quantitativa, attenta soprattutto alle possibilità edificatorie, alle infrastrutture locali.
Ma il mondo è cambiato. Varese si è estesa in una realtà urbana di fatto che comprende un’area vasta interdipendente che richiede con urgenza il suo riconoscimento e una collaborazione intercomunale che deve andare ben oltre la semplice coordinazione dei servizi esistenti e innovativi.
Si tratta di domandarci quale sia di fatto la consistenza e le necessità di una comunità vasta, oggi disarticolata, che dovrebbe avere ambizioni civili capaci di riconoscere la bellezza che l’ambiente e la storia le hanno affidato. Il degrado della scena urbana favorisce comportamenti di noncuranza che non possono cogliere, da una bellezza e da un’armonia assenti o compromesse, una ispirazione positiva.
C’è un lungo percorso da compiere. Occorre cominciare dalla impegnativa ma ineludibile questione riorganizzativa della Città reale. Delle sue connessioni, dei luoghi significativi della convivenza e dell’impegno civile, per costruire il nostro futuro. Della sua offerta alle più ampie realtà territoriali.
Come Città dei congressi?
Come Città universitaria?
Come Città della cultura?
Come Città del recupero di chi ha bisogno di cure?
L’area varesina tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 è stata di grande attrazione per le sue bellezze che tuttora, per quanto ripetutamente offese, costituiscono un patrimonio che può ancora essere proposto quale fondamento ammirabile di una sua rinnovata immagine. Anche in occasione dell’Expo.
Il nostro Sacro Monte, il nostro lago con la corona degli altri laghi prealpini, lo scenario delle Alpi, ci chiedono una pianificazione che valorizzi luoghi e accessibilità, offerti all’ammirazione delle persone più che alle pretese dei veicoli. Facendo rifiorire questa Città per l’affetto che può offrire a chi la desideri.
Si parla oggi, con insistenza condivisibile, della necessità di liberare la città dal dominio del traffico veicolare. Le circonvallazioni, le ‘bretelle’, i nuovi autosili dovrebbero consentire una veicolarità più accettabile. Occorre ridurre il traffico veicolare con una maggiore razionalizzazione del trasporto pubblico.
Ricordo ancora una volta la proposta Oikos (la società che ha studiato il PRG ), per una linea di tram moderno da Bizzozero a Masnago raccordata a una diversa ‘gemmazione’ delle linee degli autobus urbani. Ma occorre definire anche in città percorsi indipendenti e protetti per chi si sposta in bici. Penalizzando necessariamente i percorsi veicolari. Con la ciclabilità occorre favorire la pedonalità con marciapiedi più ampi, alberati, con attraversamenti stradali più sicuri.
Si tratta insomma di ripensare la città a misura delle persone, valorizzando i luoghi significativi di incontro, di relazione. Se i ‘nuclei storici’ non sono più, da soli e oggi, luoghi per l’incontro desiderato, occorre individuare nella pianificazione ulteriori luoghi di vita e attrazione che si fondino anche sulle strutture pubbliche di servizio già esistenti, frequentemente non valorizzate con la loro funzione-presenza essenziale.
Occorrono nuovi spazi pubblici significativi che comprendano le nuove chiese e le scuole, ogni altra presenza di utilità e attrattività pubblica che si affaccino su piazze anche articolate, dotate di verde pubblico e di luoghi di sosta non disturbati dalla mobilità veicolare. Raggiunti con percorsi pedonali valorizzati da realizzazioni di verde. Godiamo ancora dei bei filari verdi dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento (altri ne abbiamo distrutti per dare spazio ai veicoli).
Spazi pubblici dove assicurare, anche con il parziale impegno comunale, la presenza di servizi per l’acquisto di generi di prima necessità a chi non possiede l’automobile o non la può guidare perché anziano o in difficoltà personale. Anche per questa offerta, attrattivi.
Ridisegnare la città per la vita di relazione dei suoi cittadini è una necessità urgente e civile, di cui purtroppo si parla ancora poco, rivolti troppo, come finora si è fatto, a una visione di benessere individuale affidato soltanto a un illusorio futuro fondato sul progresso della tecnica.
Anche da questa carenza di ‘espressioni di affetto’ dei luoghi della Città derivano comportamenti e modi di vivere ‘senza speranza’ e fiducia nel futuro, che costituiscono l’aspetto più preoccupante e il degrado di sostanza della nostra vita urbana oggi.
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