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Libri

LA MILANO DEL NOVECENTO

CESARE CHIERICATI - 11/07/2014

Il grande architetto americano di origine estone, Louis Isadore Khan, a chi gli chiedeva una definizione di città invariabilmente rispondeva: “La città è gente”. Gente prima degli edifici, dei monumenti, delle infrastrutture, una definizione semplice quanto straordinaria che pare aver influenzato un brano importante della vita professionale di Franco Tettamanti, giornalista di lungo corso, che per anni ha firmato nella pagine di cronaca milanese del Corriere della Sera una bellissima rubrica – appariva il mercoledì – con il titolo Cose dell’altro secolo.

Nello spazio breve di due colonnine ha raccontato chi ha contribuito, nei diversi ambiti della vita, a costruire Milano, la città che, piaccia o meno, è sempre stata e continua ad essere il motore del paese Italia. Lo ha fatto mischiando due ingredienti fondamentali del mestiere: la curiosità per la vita grande o piccola delle persone e il rigore nel ricostruirla attraverso fatti precisi e momenti vari sempre comunque collocati, con perizia, all’interno di periodi storici precisi. Un lavoro certosino, minuzioso, da grande artigiano dentro gli sterminati archivi del giornale.

Poi raccolta la materia prima, spesso confortata anche da ricordi personali frutto di una lunga stagione da cronista, la scrittura di pezzi agili, di facilissima lettura, chiari come istantanee leggermente virate al color seppia, talvolta ironici, spesso velati da una tenue malinconia.

Un’antologia giornalistica quella di Franco Tettamanti che ha pensato bene di raccogliere il suo lavoro in due corposi volumetti, l’ultimo dei due di fresca uscita per l’editrice meneghina Meravigli, collana scorci e memorie, si intitola Era solo ieri. Basta aprirlo a caso per accorgersi di quanto la nostra memoria sia labile, distratta, condannata alla rimozione. Eppure tutti i nostri oggi sono frutto dei nostri ieri, personali e collettivi. Franco ce lo ricorda sommessamente, con garbo, senza tuttavia mai cedere alla nostalgia fine a se stessa. Come garante, in chiusura della sua postfazione, chiama in causa addirittura il seicentesco gesuita e filosofo spagnolo Baltasar Gracian che sentenziò: “Bisogna adattarsi al presente, anche se ci pare meglio il passato”.

Un’ultima considerazione la meritano le foto, straordinarie, che scandiscono il libro, di sicuro scelte con cura appassionata dall’autore. Una in particolare mi ha colpito, ritrae un tiro a quattro di maestosi cavalli che trainano uno spazzaneve nelle vie centrali di una Milano spettrale. L’inverno – dice la didascalia – è quello del ‘46/’47. L’ “Inverno freddissimo” del primo dopoguerra splendidamente narrato, nell’omonimo romanzo, da Fausta Cialente per molti anni varesina d’adozione.

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