Alla generazione che ci ha preceduti, quella dei nostri genitori per intenderci, da giovanissimi invidiavamo soprattutto un fatto che un poco mitigava le inimmaginabili traversie che per loro seguirono: l’essere stati in qualche modo testimoni di due campionati del mondo di calcio vinti dalla Nazionale. A Roma e a Parigi nel 1934 e nel 1938. Per noi gli anni dell’invidia si dispiegavano dal 1950 al 1954, quando la nostra squadra allora come oggi fu buttata fuori al primo turno, e al 1958, quando nemmeno – sebbene infarcita di campioni e di ottimi oriundi – riuscì a qualificarsi per il girone finale, cosa che con questi chiari di luna potrebbe di nuovo verificarsi.
Poi il Padreterno ha voluto che anche la nostra generazione – prima di giovani cresciutelli e poi di maturi signori – potesse vivere la gioia delle vittorie: insperata nel 1982, quando è presumibile pensare che gli atleti scendessero in campo contro Argentina e Brasile con le valigie negli spogliatoi già pronte e chiuse, poi nel 2006, davanti ai rigoristi francesi, in un’Italia calcistica più o meno devastata da improprie telefonate.
Ma gli oscuri e talvolta penosi precedenti, risalendo agli anni Sessanta per proseguire via via nei Settanta, e poi dopo il Mundial spagnolo dell’82 e poi ancora ventiquattro anni dopo la notte magica di Berlino, sono tanti e tutti da mettere in conto, fino alle p-randellate e alle odierne balotellate. Il 1962, per esempio, l’anno del Mondiale in Cile. L’anno, almeno per la famiglia di chi scrive, della televisione finalmente in casa e delle cronache di Nicolò Carosio. La coppa in palio si chiamava Coppa Rimet. La nostra partita decisiva, proprio contro il Cile, nazione allora miseranda che alcuni nostri giornalisti soloni avevano messo in croce, fu talmente cruenta da passare alla storia come la battaglia di Santiago. Finimmo la partita – persa per due a zero – in nove con due giocatori espulsi (Ferrini e David) e uno in campo con il naso fratturato (Humberto Maschio). Le colpe? Dell’arbitro inglese Ken Aston – of course –, una sorta di antenato di quel tal Moreno che ritrovammo anni e anni più tardi in Corea (2002), pronto a sbatterci fuori anche da lì.
Il risultato del Cile? Tutti a casa con le pive nel sacco. Il calciatore Jorge Toro, quello che infine ci aveva castigati, venne trionfalmente accolto in Italia: giocò subito conla Samp. LeonelSanchez, uno dei pugilatori cileni, si strinse la mano con il milanista David, che cristianamente lo perdonò. Attendiamo di vedere presto sulle italiche sponde Cannibal – Suarez, magari accanto o alla guardia del Chiello vittima designata e appetita.
Dal Cile all’Inghilterra nell’anno 1966. Una rivincita perla Nazionale? Manco per inteso. A Middlesbrough bastava un pareggino (perché del Cile c’eravamo già gloriosamente vendicati e però avevamo perso conla Russia) e invece fummo puniti da un tiro diagonale del famoso militar-dentista Pak Doo Ik della Corea del Nord. I nostri migliori selezionati dal bolognese Mondino Fabbri, in fondo un ingenuo e incerto buonista come Prandelli, c’erano tutti. Ma batti e ribatti non si cavò un ragno dal buco. Di nuovo a casa. Con Gigi Riva in tribuna da spettatore eletto, Gigi Meroni – al momento poco apprezzato dal Mondino – fuori. Stavolta non c’era nemmeno un arbitro con cui prendersela, e la sconfitta conla Coreafu registrata negli annali e nelle enciclopedie come un sinonimo di tremenda disfatta: una Corea come una (ben più seria e grave) Caporetto.
Gli Azzurri, al rientro, furono presi a pomodorate. Meglio o peggio della glaciale indifferenza di oggi? Chi lo sa. In ogni modo, Pak Doo Ik non fu mai reclutato. Almeno questo.
Il campionato Europeo – vinto e sofferto nel 1968 – ci portò alla Nazionale messicana del ’70, al famoso e storico Quattro a Tre controla Germaniain semifinale che un poco obnubilò la strapazzata brasiliana – che grande Brasil! – della finale. Ma tant’è: il campionato tedesco del 1974 era già in agguato. In terra alemanna rimediammo una vittorietta con l’Haiti (e Chinaglia che mandava a quel paese mister Valcareggi), un pareggino con l’Argentina e una musata controla Poloniadi Deyna. Signori, a casa. Da subito.
Il campionato del mondo argentino del 1978 meriterebbe un discorso a parte. Ma come non ricordare i tiri olandesi da fuori area e il “cieco” Zoff? Minidelusione e – in parte – preludio delle gioie madrilene. Ma, come sempre, dagli altari alla polvere. In Messico nel 1986 si faticò l’iraddidio per poi trovarela Franciadi Platini-le Roi. Quindi a casa, a Italia Novanta e alle notti magiche che si infransero nella Napoli di Maradona dove l’Italietta – noblesse oblige – volle giocare la semifinale con l’Argentina. E perse. Altra grande occasione gettata al vento.
Invece a buttare alle ortiche – al Mondiale statunitense sacchiano del ’94 – un possibile successo finale rigorista (ma ormai il gioco del destino era forse compiuto) ci pensò il mite e spompato Codino-Baggio. Vittoria al Brasile. A casa delusi. Un pochino.
Nel ’98, tra le braccia dei francesi, ci lasciammo le penne ai rigori. Delusi? Certamente, anche qui. La (nostra) vendetta con i cugini d’Oltralpe fu compiuta otto anni dopo a Berlino.
Del 2002, di Moreno arbitro, delle sue sviste (?) s’è già detto. La conclusione è che tornammo recriminanti e battuti. Più che battuti: scornati. Nonostante l’acqua santa di mister Trapattoni.
Sorvoliamo sulla gloria (inattesa) del 2006 e siamo (quasi) ai giorni nostri al Sudafrica del 2010, mazziati nella prima fase dalla Slovacchia (!?) e qualche giorno fa dalla Costarica e dai morsicatori uruguaiani.
Gioie, in più di mezzo secolo, dopo l’Italia di Vittorio Pozzo e della (nostra) invidia ce ne sono state. Ma quante e quali delusioni. In netta maggioranza. Quante arrabbiature. Quante maledizioni ai CT e a certi inguardabili campioni.
La morale, come nelle favole, è che spesso dalle ceneri si può risorgere. A dire il vero non ne siamo più tanto sicuri.
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