Nella scelta dei candidati sindaco di una città credo che il parere dei cittadini sia assolutamente insostituibile da qualsiasi altro potere decisionale. Almeno per quanto riguarda il PD, maggiore partito del centrosinistra e che ha nel proprio DNA il criterio delle primarie e la vocazione all’apertura e al coinvolgimento. In realtà, e già lo dissi in qualche occasione, ancora nei primi anni Novanta quel lungimirante Giuseppe Volta, segretario provinciale varesino del riformista Partito Popolare Italiano sorto sulle ceneri della DC, aveva definito nel proprio programma politico le primarie come condizione essenziale della partecipazione. Più recentemente, l’idea di sottoporre le candidature al parere della gente comune, nelle piazze o nei gazebo accessibili a chiunque lo desideri, è entrato nel modo di concepire il ruolo dei partiti anche in schieramenti diversi dal centrosinistra.
Da un lato quindi sarebbe inconcepibile e anacronistico che il PD si lasciasse strappare il privilegio della “apertura democratica” delle primarie, che ha saputo fare, negli ultimi anni, cultura e storia nell’intero panorama politico. Dall’altro qualsiasi rivendicazione di autonomia delle segreterie cittadine o l’ idea, già perdente in recenti occasioni, di primarie “interne” significherebbe compiere scelte che i cittadini non capirebbero né apprezzerebbero. Un partito ha ragione di essere se è in grado di farsi interprete del pensiero comune e se sa essere al passo con i bisogni culturali e sociali del tempo.
Tre anni fa, sei mesi prima delle amministrative di Varese, avevo inviato una lettera contestualmente ad alcuni esponenti del PD provinciale e cittadino, nella quale dicevo di essere disponibile, in vista delle amministrative che ci sarebbero state nella primavera seguente, come candidata alle primarie, che reputavo e reputo essere l’unica modalità di scelta delle candidature. E primarie che siano aperte a tutti, poiché la stragrande maggioranza dei cittadini non è iscritta ad un partito politico ma ha diritto sacrosanto di prendere parte alla scelta democratica e condivisa dei cittadini o delle cittadine che si mettono a disposizione per le amministrative.
Del resto è ormai consolidato il ruolo decisivo delle liste civiche, protagoniste delle tornate elettorali amministrative degli ultimi anni, segno di una volontà di partecipazione che risponde concretamente alle lamentele dell’antipolitica. In buona parte dell’opinione pubblica è cresciuta la consapevolezza che collaborazione, condivisione, partecipazione e costruzione del bene comune siano le forme di una buona politica. Pertanto nessun partito può permettersi ormai di marginalizzare questa espressione della cittadinanza e le primarie sono una opportunità diretta e chiara di coinvolgimento nella dimensione della polis.
Oltretutto le primarie rappresentano anche un forte segno di trasparenza, che allontana lo spettro delle decisioni prese da pochi e fuga qualsiasi dubbio di discriminazione. Analoga modalità di coinvolgimento popolare (con le forme di consultazione che si ritengono più appropriate) è a mio avviso ragionevole nella scelta degli assessori che poi un sindaco andrà a nominare. Anche queste sono infatti cariche da attribuire aprendo le maglie della disponibilità, delle competenze e dei suggerimenti che provengono dai cittadini e non da assegnare sulla base di logiche strettamente partitiche. Non dovrebbe essere un miraggio, ma qualcosa di assolutamente fattibile che un sindaco designi la propria giunta rendendo evidenti ai cittadini le ragioni delle proprie scelte tra una rosa di possibilità.
È comunque fondamentale che chiunque si candidi a sindaco, nelle primarie organizzate dai partiti o nelle liste civiche, sia assolutamente chiaro nel presentarsi alla cittadinanza forte di tutto il proprio bagaglio di valori e di idee, quelle sulle quali si è formato e quelle che guidano la sua quotidiana appartenenza costruttiva alla città.
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