Il pellegrinaggio al Sacro Monte termina naturalmente in Santuario, che è il luogo in cui avviene il “passaggio” dapprima dal profano al sacro, e poi dal sacro al Santo. Ma andiamo per gradi, come in un’ipotetica visita guidata alla Chiesa.
Molti vi entrano, arrivando dagli ascensori, e passano per la porta laterale; ma di per sé l’ingresso principale sarebbe l’altro, che dà sulla piccola piazzetta Monastero: lì c’è il portico, il pronao, l’ingresso coperto.
Questo spazio, benché limitato, adempie comunque alla sua funzione perché fa da cerniera tra l’area del “profano” (che sta davanti al ‘fanum’, il luogo santo) e il tempio vero e proprio.
Arriviamo qui con le più diverse esperienze alle spalle e tante situazioni gioiose e tristi nel cuore; se entriamo dentro è perché desideriamo trovare la fonte che estingue la nostra sete, la luce che ci guida nel cammino attraversola Parolache dà senso, corregge, incoraggia. Lì – ce lo assicura la fede – c’è sempre Qualcuno che ci aspetta!
Attraversando il pronao avviene un primo “transito”: si passa dalla vita al sacro (così come, quando si esce, si porterà il sacro nella vita).
Il nostro mondo interiore, fatto di sensazioni, affetti, percezioni, viene messo in moto dal sentimento: chi entra non può non sentirsi in qualche modo “sor-preso” (nel senso di “preso-da-sopra”) dalla vita.
Siccome l’esistenza procura a tutti un certo “timore”, come succede davanti a segreti inesplicabili, anche la sacralità del luogo ci fa sperimentare qualcosa del mistero di Dio, che è – a detta degli antichi latini – “tremendo” (perché siamo nella casa di Dio, l’Onnipotente tre volte Santo), ma anche “affascinante” (perché il suo nome è Amore).
La devozione si accende nel momento in cui si avverte il bisogno o comunque si entra a contatto con qualcosa/qualcuno da cui ci lasciamo sorprendere… Non siamo qui semplicemente per passare in rassegna qualche opera d’arte, ammirata e ricercata – come tutto l’ambiente circostante – dagli studiosi come dai turisti. Entriamo qui con riverenza perché questa è la “casa di Dio e di Maria”.
Tutto qui è un segno, un richiamo, una parola, un’immagine plastica che predica con la sua sola presenza. Parole di pietra o parole di figure e colori, sono frammenti che invitano ad una conversione radicale nei rapporti umani, se è vero che siamo noi le “pietre vive” usate da Dio per la costruzione di un “tempio santo”, di quel tempio cosmico dove “tutto ciò che si respira” canta le sue lodi.
Il Cardinal Kasper, in occasione del Giubileo del 2000, invitava tutti i credenti a “riflettere sulla storia di questi duemila anni e prendere coscienza in maniera riconoscente di essere divenuti partecipi di un dono di grazia. Ogni Chiesa ricorderà l’eredità dei propri “fondatori”, di uomini e donne sante che hanno portato il cristianesimo impiantandolo nelle loro terre e tenterà di rinnovare nel presente questa eredità spirituale. Parimenti si pentirà pienamente delle proprie insufficienze. Ricordando i martiri del nostro secolo, troverà nuovi orientamenti seguendo il loro esempio”.
A distanza di anni l’impegno di rinnovare la fede, alimentare la speranza e diffondere l’amore è sempre quello: nobile e urgente!
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