Nella stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento, in cui Giovanni Pico della Mirandola ha sottolineato la grandezza e la civiltà dell’uomo nell’universo, Michel de Montaigne (1533-1592) si attiene a un atteggiamento scettico, pirroniano, decostruendo la ragione dogmatica con l’arte del dubbio, antidoto alle sue degenerazioni, sul fondamento di una constatazione: sapere di non sapere. La ragione, che ha raggiunto la coscienza dei propri limiti, ritiene l’io oggetto di una ricerca infinita verso il concetto stesso di perfezione. E in questo studio si avverte come una vertigine. Epperò Montaigne si riconduce a quella madre grande e benigna che è la physis, la quale ci ha messo al mondo liberi e senza legami. La morale, che non deve rifarsi al costume, né essere eteronoma, da schiavi, deve essere invece capace di sostenersi senza aiuto, nata in noi dalle sue proprie radici, per il seme della ragione universale infuso in ogni uomo non snaturato.
Quanto alla religione Montaigne per un verso si mantiene buon cattolico, per l’altro, contraddittoriamente, non si ancora a certezze dogmatiche, ritiene che linguaggio divino e linguaggio umano non conoscono un codice comune, che la divisione tra ragione e fede è strutturale, ontologica, linguistica. “La pratica ci fa vedere una differenza enorme tra la devozione e la coscienza”. Non ci si può ridurre alla mera devozione, alla superstizione e va criticata ogni forma di approccio antropomorfico e analogico, per cui a Dio sono conferiti attributi umani. Anche in questo Montaigne è fedele ai principi della aphasia (per cui non si asserisce mai nulla) e dell’epoché (per cui si sospende ogni giudizio).
Montaigne nasce nel 1533 nel castello di famiglia degli Eyquem (questo il suo vero nome) in un piccolo comune dell’Aquitania. Il padre vuole che la prima educazione gli sia impartita presso dei boscaioli,affinché impari a vivere in frugalità e austerità. Segue lo studio del latino e degli scrittori classici (un precettore tedesco gli parla solo in questa lingua). Successivo è il rapporto di stretta e fraterna amicizia che lo lega nel 1558 presso il Parlamento di Bordeaux a Etienne dela Boétiein una totale comunione di spiriti: gli sarà sempre grato dello spirito di mediazione e di conciliazione da lui esercitato nelle contese tra cattolici e ugonotti. Ma nel 1571, “già molto tediato dalla schiavitù della corte del Parlamento e delle cariche pubbliche “, si chiude nella torre del suo castello, “consacrandosi alla sua libertà, alla sua tranquillità e al suo riposo”. Intorno al 1572 è l’inizio di stesura degli Essais, tentativi, prove, esperimenti su se tesso, un lungo itinerario complesso e sofferto, che avrà termine solo colla morte. L’edizione definitiva, postuma, curata da Marie de Gournay e Pierre de Brach, è del 1595. Del 1580 il viaggio in Italia, in cui si annota l’esosità dei nostri albergatori. Ricevuto da Papa Gregorio XIII, non sottosta alla censura del S. Ufficio, che gli impone di espungere alcune affermazioni sulla vita ultraterrena e giustificazione della politica di Giuliano l’Apostata. Trova la moderna Venezia, simbolo di tolleranza religiosa, rifugio degli eretici, nonostante il regime aristocratico, ben superiore alla Roma bastarda e anche all’antica Roma. Per lui tuttavia il governo democratico è senz’altro il più naturale e il più giusto. Su pressione di Enrico III assume la carica di Sindaco di Bordeaux fino al 1585 e a Parigi si preoccupa dell’alleanza tra il sovrano ed Enrico di Navarra controla Legadegli estremisti cattolici guidata da Enrico di Guisa (tra il23 e il 24 agosto del 1572 si era verificata sotto Carlo IX la strage degli ugonotti nella notte di S. Bartolomeo). Montaigne muore per calcoli renali dopo che nel 1589 è intervenuto l’Editto di Nantes a sancire la parità di diritti civili tra cattolici e protestanti.
Con i Saggi Montaigne non vuole creare un sistema filosofico, avverte che nessuno può considerarsi depositario di verità assolute, li concepisce come una forma di introspezione per raccogliere le mille incoerenze e gli innumerevoli contrasti dello spirito umano. Nessuna certezza, se non che tutto è incerto. Comunque chi si conosce, conosce anche gli altri, perché ciascun uomo porta in sé la forma integra della condizione umana e “la più bestiale delle malattie consiste nel disprezzare il nostro essere”. Purtroppo “ noi siamo, non so come, doppi in noi stessi, il mio io di adesso e il mio io di poco fa siamo certo due”.“L’io stesso è la sede dei contrari, la contraddizione è verità”. Comunque l’impotenza epistemologica, una volta che si sia preso atto dei propri limiti, si conclude in un elogio del progresso, mentre le culture si sviluppano attraverso i circuiti dello scambio e sull’idea della decrepitezza del mondo può innestarsi quella del ringiovanimento.
C’è in noi una tendenza naturale a voler oltrepassare i propri limiti. Montaigne proclama l’etica della responsabilità contro l’attitudine a non prendere mai partito e non accetta che il suo relativismo culturale possa approdare a una giustificazione generale di tutto ciò che accade. I vizi non sono tutti uguali come per alcuni stoici.
Non comminò mai torture o pene di morte nell’esercizio delle sue funzioni, si espresse contro la caccia alle streghe e i roghi per gli eretici. Constata il divenire universale, il perpetuum mobile, la pluralità dei mondi, ma non se ne allarma. Sa che l’opinione è la regina che governa il mondo, evidenzia la capacità operativa dell’immaginazione, il suo potere creatore e produttore. Vede nella costrizione educativa il germe della servitù. Esalta l’amicizia come nodo stretto e duraturo, comunanza libera e volontaria, in cui l’uomo si impegna per intero. L’assenza di mio e tuo esclude l’individualismo possessivo. Nella circolarità tra morte e vita filosofare è imparare a morire, il che coincide col disimparare il male della servitù. Questi i suggerimenti di un’anima “sempre in tirocinio e in prova”, che non mira a descrivere l’essere, quanto a descrivere il passaggio.
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