Negli anni ottanta e novanta lo chiamavano “oltranzista della fede” e “folle di Dio” come a sottolineare una discreta presa di distanza dalla sua solidarietà irruente, vigorosa, scomoda eppure delicata, persino,a tratti, sommessa. Sabato 14 giugno l’hanno ricordato nella Galleria delle carrozze della Stazione Centrale di Milano con una serata di testimonianze e uno spettacolo di marionette intitolato “Ettore dei Poveri”. E non poteva essere altrimenti perché proprio nel grande sottoscala a due volte dello scalo milanese di via Sammartini 112 –114, fratel Ettore aveva costruito un avamposto di accoglienza e di fraternità, la sua cattedrale. In quel grande antro rischiarato da luci gialle aveva allestito le cucine per la distribuzione di un pasto serale e l’offerta di un centinaio di letti agli emarginati, agli sconfitti, ai malati senza assistenza, ai profughi dell’est Europa. Accoglieva tutti, anche chi era ateo o di diverso credo come i mussulmani, “con un’unica precauzione – diceva guidandomi dentro la grande spelonca della carità – che non abbiano armi, droghe o altre cose incompatibili con la vita di comunità”. Prima di accomiatarsi dai suoi ospiti si inginocchiava e pregava ad alta voce. Molti ripetevano le sue parole.
Mantovano di Roverbella, Ettore Boschini, di famiglia contadina, era nato nel 1928 ed era approdato a Milano nel 1976 dopo venticinque anni al servizio dei piccoli malati dell’ospedale San Camillo agli Alberoni di Venezia. Tre anni prima gli avevano attribuito il Premio della Bontà, istituito subito dopo la morte di Giovanni XXIII e a lui intitolato. Da allora le iniziative si moltiplicarono in una Milano sempre più benestante che pareva allontanarsi dalla sua grande tradizione umanitaria.
Fu lui per primo ad accogliere nel rifugio di Affori gli emarginati aggrediti dall’Aids, la devastante malattia cui allora la scienza non sapeva fornire risposte, inarrestabile come una nuova lebbra o un’oscura colpa da espiare. E poi la casa di Betania a Seveso dedicata al culto della Madonna, nata negli anni bui del dopo diossina con un azzardo economico. Accoglieva, donne abbandonate, bambini soli, malati di mente, persone pietrificate da malattie irreversibili. Diceva che “il suo unico finanziatore erala Provvidenza- mi raccomando sempre con la p maiuscola bisogna scriverla – “ che in effetti, in forme anonime e spesso misteriose sembrava proprio alimentare le sue iniziative. Le sue tante opere diventarono nel giro di pochi anni meta di visite e pellegrinaggi, da Madre Teresa di Calcutta all’Abbé Pierre.
Quello con fratel Ettore era un incontro spiazzante per la candida risolutezza delle sua proposta e anche per le forme a volte bizzarre con cui manifestava la sua fede. Capitava infatti che girasse per Milano su un automobile scassata con un’immagine della Vergine fissata al tetto mentre un megafono diffondeva canti e preghiere. Qualcuno sosteneva che si muovesse al limite della follia. Il poco lusinghiero apprezzamento non lo toccava affatto. “ Quando ho offerto un bicchiere d’acqua, un pane, un abito a un fratello in necessità – replicava sereno – penso di aver dato una spinta a guardare al cielo, a questo Dio invisibile ma presente, allora io sono felice. Finché avrò vita marcerò con i poveri, Gesù ha scelto un modo di vivere da escluso, da emarginato, da ultimo”. Nell’ora delle grandi emergenze umanitarie che colpiscono duramente anche l’intero bacino del Mediterraneo, con la stazione Centrale di Milano al centro di un boom di profughi siriani in fuga dal collasso del proprio paese, fratel Ettore resta un punto di riferimento ineludibile.
Chi ha raccolto la sua eredità – onlus, gruppi di solidarietà, persone a lui vicine – lo dimostrano ogni giorno. Lo ha sottolineato il Cardinale di Milano Angelo Scola ricordando la sua testimonianza concreta,vissuta giorno dopo giorno senza riserve, un eroe della solidarietà morto a settantasei anni il 20 agosto del 2004.
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