Quale filo ha legato la vita di Liala a Varese, la città in cui scelse di stabilirsi per sempre, a partire da un certo momento della sua esistenza?
La risposta è data, da qui in avanti, a quanti avranno la voglia di andare a cercare tra le sue carte a Villa Mirabello, dove l’archivio di Amalia Liana Negretti Cambiasi, in arte Liala, sarà custodito per volontà della famiglia.
Scopriranno che anche il domicilio del cuore della scrittrice era qui. Qui era il luogo dell’anima e della passione. La passione fu breve, troppo presto travolta dalla tragedia, ma talmente intensa da segnarne la sua vita di donna per sempre.
È il 1926. Un giovane aviatore di famiglia aristocratica, Vittorio Centurione Scotto, misura la forza delle sue ali e il suo coraggio sulle acque del lago di Varese. La giornata settembrina è splendida, il cielo di un color pervinca, la bravura del noto recordman di idrovolanti indiscussa. Lui corre per vincere, il premio ambito è la coppa Schneider. Ma la corsa finisce prima di concludersi. E la vita di Vittorio si spezza, insieme al cuore di lei, tra quelle acque amate e sorvolate tante volte.
Spetterà a Liala il non facile compito di tradurre in un infinito racconto affabulatorio la quotidiana malinconia, tessendo nel tempo la trama di dolore e parole, romanzo dopo romanzo, come una penelope che sa aspettare. La vita le riserverà il premio e l’affanno insieme di un cammino durato fino al 15 aprile del 1995, quasi alla soglia dei cento anni. A Varese ne visse la più parte.
Da Carate Lario, dove era nata nel 1897, il 31 marzo, si ritirerà ancor giovane, dopo la pausa ligure con il marito marchese Cambiasi, nella villa varesina sul Montello. A villa la Cucciola, con le due figlie, Primavera e Serenella, deciderà di ricominciare e di vivere per sempre la sua appartata esistenza, fatta di poche, riservate frequentazioni, e di tanto lavoro. La fantasia e la conoscenza del mondo l’aiuteranno nella professione.
A incoraggiarla era stato D’annunzio, che aveva conosciuto Vittorio e sapeva del loro tragico amore. Lei era in visita al Vittoriale assieme all’editore Arnoldo Mondadori. Sua era stata l’idea del nome de plume Liala, “perché tu abbia per sempre”, la confortò il Vate, “un’ala nel tuo nome”.
Con quel nome, Liala, firmerà, a partire da Signorsì, pubblicato nel 1931 da Mondadori, più di ottanta romanzi, che faranno di lei una tra le autrici più lette e popolari, tradotta in numerosi paesi. Merito anche della decisione dell’aristocratica scrittrice, che imporrà sempre ai suoi libri, editi da Sonzogno, un prezzo popolare, perché tutti possano trarre consolazione dalla lettura.
Infinita sarà la processione di lettrici dei suoi romanzi, in devota attesa davanti al cancello di casa. Lei ricambia, con biglietti gentili e spiritose dediche, offerte con l’ intermediazione premurosa di Primavera.
Poche invece le interviste concesse. Ne ricordiamo due, rimaste note: a Giorgio Torelli, splendida intervista davvero all’altezza del bravo giornalista ritrattista, e all’originale Aldo Busi, che si presentò inscenando una pochade in divisa da aviatore. Lei non gradì, ma ne uscì una pubblicazione dal titolo curioso, L’amore è una budella gentile. Tratta dal lessico familiare di casa Negretti, e da una favoletta che in famiglia si raccontava alla bambina dai capelli rossi, detta Ghinghi, l’espressione budella gentile tanto piacque al collega scrittore da farla subito sua.
Ma, in genere, la maggior parte dei giornalisti era tenuta a distanza. Liala si concedeva solo qualche volta al telefono, quando le capitava di rispondere – di rado, invero – precedendo la figlia Primavera o l’affezionata Tilla. E allora, cortese e curiosa, ma soprattutto guardinga, cercava di prendere tempo, di capire con chi stesse parlando, infine di rimandare. Così l’intervista non arrivava mai.
A chi scrive riuscì finalmente. Ma solo ad un secondo tentativo, ripetuto dopo qualche anno, e non vis à vis, bensì attraverso il paravento di domande e risposte scritte, grazie all’ intermediazione della figlia.
Dichiarò, a domanda, di avere verso i critici letterari la stessa considerazione che per loro nutriva Goethe, cioè cani pronti a mordere. Vedeva nel suo mestiere la cura e il rispetto da riservarsi a un lavoro artigianale, rivelando l’ insofferenza per l’etichetta di scrittrice rosa e il suo orgoglio di poter far sognare le persone, di aiutarle a vivere meglio. Quanto alla salute, ormai vacillante, temeva i danni di una cecità progressiva, legata alla vecchiaia e alla fragilità degli occhi usurati dal tanto scrivere e leggere.
Alla sua città, Varese, l’intervista era del ’91, augurava di cuore che la funicolare potesse riprendere finalmente il cammino di collegamento con la montagna. Di questo amore per la funicolare aveva parlato più volte. E già in Diario Vagabondo ne aveva caldeggiato il ripristino e ricordato i tempi in cui funzionava davvero. “Piaceva a tutti la funicolare, e quel che pur conta, portava molti turisti a Campo dei Fiori : località ora dimenticata, proprio perché arrivarvi con la macchina la strada è lunga e con il pullman è scomodo per gli orari. Con la funicolare ogni venti o trenta minuti uno andava a divertirsi al Sacro Monte o a Campo dei Fiori, respirava aria buona, si trovava in montagna senza accorgersene e lassù aveva modo di mangiare, di alloggiare, di svagarsi. Ora il magnifico albergo è chiuso, gente lassù non ne va, il bel panorama che vi si gode nessuno o ben pochi lo conoscono …”.
È indiscusso che Liala amasse profondamente la sua riservata città, che le consentiva un vivere appartato, concedendole di dare protezione e linfa alla sua vena di narratrice. Prediligeva il lago che aveva fatto da sfondo all’intera vicenda del suo amore. Sulle sue rive, tra gli hangar affollati di aerei e piloti aveva sostato anche lei tante volte, scrutando il cielo per mesi, in attesa del suo pilota.
Il Sacro Monte e il Campo dei Fiori, lo abbiamo visto, le erano altrettanto cari. Nel profilo del paesaggio attorno a Varese ravvisava la cornice ideale e lo scenario perfetto per i suoi romanzi. Dalle trasparenze e velature tenui della montagna, dove amava recarsi, finché le forze glielo concedettero, lo sguardo dei suoi occhi sfumava verso il lago. Pronta a cogliere, con l’antico batticuore, l’ ombra improvvisa di un velivolo in corsa sull’acqua.
Sabato 14 giugno, a Villa Mirabello, è stato inaugurato l’Archivio Liala, donato al Comune di Varese dalla figlia della scrittrice, Primavera Cambiasi. Nella stessa stanza, a disposizione degli studiosi, è aperto l’archivio Piero Chiara.
Dopo il saluto da parte del sindaco di Varese Attilio Fontana e dell’assessore alla Cultura Simone Longhini, la scrittrice è stata ricordata dalla figlia Primavera Cambiasi. La curatrice Serena Contini ha poi presentato nei dettagli l’archivio di Liala. È seguita la lettura di alcuni brani di Liala a cura di Paola Manfredi e la visita alla nuova sala di consultazione degli archivi letterari.
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