Ha compiuto un secolo di vita la Biblioteca Civica di Varese. Il 7 giugno 1914 fu infatti “solennemente inaugurata”, come recita la Cronaca Prealpina di quel giorno, la nuova sede nel Palazzo Municipale. Esisteva però anche un “prima”: risale al 1868 la nascita di una Libreria civica, con una donazione di volumi da parte dei fratelli Molina ma destinata unicamente alle scuole. Alla catalogazione si adoperò lo storico varesino Luigi Borri ma la mancanza di sede idonea e la scarsa frequentazione portarono alla chiusura nel 1900.
Fu grazie alla generosità ed alla lungimiranza di un emigrante varesino ritornato in patria, il cavalier Giuseppe Baratelli (1850-1924) che si arrivò alla vera nascita di una biblioteca pubblica, nel 1914. La Cronaca Prealpina ce lo descrive entusiasticamente: “simpatica figura di varesino, che accoppia la tenace volontà dei propositi ad una cordiale bonomia” ma soprattutto un “self made man”. Emigrato in Argentina dopo la morte dei genitori, come molti italiani vi fece fortuna adoperandosi soprattutto nell’arte della litografia e già lì coltivando la passione per i libri tanto da costituire una buona libreria che però rimase in Argentina. Tornato a Varese il “suo primo pensiero fu quello di raccogliere nuovamente una biblioteca pratica ed istruttiva” e di donarla alla Città, forte di dodicimila volumi alcuni dei quali antichi e di pregio, appoggiandola anche con un “largo assegno”, ovvero una quota annua di tremila lire per la sua gestione e nuovi acquisti.
Dal canto suo il Comune trovò finalmente sede adeguata nel Palazzo comunale, esattamente dove si trova tuttora: nelle foto che corredano l’articolo sulla Cronaca Prealpina vediamo infatti il salone centrale al primo piano, tuttora in uso, con la bella ringhiera liberty del ballatoio e la presenza dei grandi armadi lignei, poi destinati altrove, dove erano custoditi parte dei volumi, mentre parte della preesistente dotazione comunale rimase presso scuole cittadine.
Tutto bene allora? Non proprio e le ricerche storiche effettuate, anche nell’ambito di tesi di laurea tra cui quella di Valeria Scaramuzzino, rivelano un retroscena: scarso fu infatti l’impegno del Comune per lo sviluppo della Biblioteca, dirottando i fondi della dotazione finanziaria ad altri scopi o per le spese correnti tanto da indurre il Baratelli ad una azione giudiziaria poi risoltasi grazie alla mediazione del Commissario prefettizio Raimondi. La soluzione venne nel 1925, l’anno seguente alla morte del benefattore con la creazione di un organismo autonomo, un Ente Morale, cui far affluire la dote ed un ulteriore legato testamentario di centomila lire.
Negli anni del fascismo l’attività di pubblica lettura proseguì pur con difficoltà di finanziamento e con la creazione, voluta dal regime, di una Sezione Popolare che intendeva diffondere tra le masse una lettura amena e d’evasione (!) e che consentì, attraverso una forma di abbonamento, di aggirare una clausola della donazione Baratelli che vietava il prestito a domicilio. A partire dal 1951 assunse la direzione Leopoldo Giampaolo ed iniziò una lenta rinascita con l’avvio di una moderna catalogazione, l’assunzione di personale d’appoggio e soprattutto la municipalizzazione della Biblioteca abolendo l’Ente Morale con l’intento di responsabilizzare maggiormente le autorità cittadine, processo che ebbe conclusione nel 1974, dopo che a Giampaolo era succeduto Silvano Colombo. Inizia così una nuova fase in cui si sviluppa l’emeroteca, destinata alla lettura di giornali e periodici mentre la Biblioteca si fa anche promotrice di iniziative culturali primo nucleo di quella che sarà l’attività dell’Assessorato alla Cultura.
Arriviamo agli anni ’80 con il grande fermento portato dall’Assessore alla Cultura Salvatore Caminiti, che portò finalmente a soluzione l’annoso problema della conservazione di un patrimonio ingigantitosi rispetto alla prima dotazione (oggi siamo a circa duecentocinquantamila volumi) con la costruzione del grande e moderno deposito sotterraneo adiacente la Biblioteca sotto i Giardini Estensi tra il Palazzo comunale e la Palazzina già della Cultura ora dei tributi.
Prende poi avvio, in maniera decisamente pionieristica a metà anni ’80 con la direzione di Guido Belli l’informatizzazione della schedatura di tutto il patrimonio, dapprima in collaborazione con la Provincia, poi proseguita con Massimiliana Brianza (cui si deve anche la creazione di una sezione specifica per i ragazzi) e l’attuale direttrice, Chiara Violini. Oggi oltre il novanta per cento del patrimonio librario è accessibile tranquillamente da casa attraverso il portale www.sbn.it del Sistema Bibliotecario Nazionale, in sede esistono postazioni Internet e di consultazione di microfilm, un servizio prestito di audiolibri e di CD…
Un percorso lungo dunque, non privo di ostacoli e difficoltà al quale – va riconosciuto – il personale ha sempre cercato di supplire con competenza ed autentica passione: valga per tutti il ricordo di Liliana Ossola, scomparsa nel 1997 dopo quasi tre decenni di presenza operosa e paziente verso tutti.
Nell’anniversario della effettiva inaugurazione al pubblico della Biblioteca, che ricorre il 20 settembre, vi sarà modo di mettere a fuoco la storia che qui si è sommariamente cercato di delineare e vi saranno momenti diversi di incontro e di animazione. Ma forse sarà anche l’occasione per delineare un possibile ulteriore sviluppo anche alla luce dei programmi che l’Amministrazione comunale sta delineando per le proprie istituzioni culturali. Un esempio: a partire da un secolo a questa parte il nucleo centrale della Biblioteca è praticamente rimasto immutato e nuovi spazi sono stati reperiti “allargandosi” verso il Palazzo comunale o costruendo ciò che non si vede ma che è indispensabile, ovvero il deposito interrato. Piuttosto che porre in campo ipotesi di trasferimento (si è accennato alla ex caserma Garibaldi…) non sarebbe preferibile un ampliamento ancora verso il Palazzo, magari occupando quegli spazi a pian terreno che furono dei Musei Civici (una vecchia targa è ancora oggi presente ma segna l’ingresso ad uffici)? È utopia sognare che Palazzo Estense diventi primariamente luogo di cultura e tutt’al più sede di rappresentanza del Comune spostando altrove, come in parte già intervenuto, gli uffici comunali?
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