Abbiamo vissuto decenni di benessere relativo perché nel Paese sono state troppe le sacche di disagio sociale e anche di miseria, poi la crisi economica internazionale ci ha colti di sorpresa e costretti a qualche rinuncia, ma badiamo bene a non parlare di un Natale povero. C’è infatti una abissale differenza tra le ristrettezze che affiorano oggi e la tristezza delle festività natalizie e di inizio anno dei tempi di guerra, di quell’avventura criminale voluta da Mussolini che è costata centinaia di migliaia di morti sulle linee di fuoco e sul fronte interno, che ha visto inenarrabili massacri di civili.
Non è un Natale povero, certamente di responsabilità da parte dei fortunati che sono al riparo dalla crisi e di coloro che hanno il potere e l’obbligo morale di scegliere la miglior rotta politica e amministrativa per riprendere tutti assieme il cammino. Facendo anche tesoro degli errori che avremmo dovuto evitare, si deve tendere a un approdo che compete a una comunità nazionale che può essere ancora protagonista del progresso.
I Natali tristi. La guerra aveva già pesantemente toccato le famiglie lombarde per il numero dei caduti sui fronti del Nordafrica, di Albania, Grecia e Russia, quando nell’ottobre del 1942 si iniziarono, inattesi, grandi bombardamenti aerei su Milano da parte degli angloamericani: furono di rara intensità e ferocia, una serie di incursioni, in particolare nel 1943, costarono distruzioni enormi e tante vittime innocenti.
Il Natale 1944 fu di una tristezza infinita: nel cuore e nell’anima di tutti c’era lo strazio per centoottantaquattro bimbi e i loro insegnanti morti a ottobre nella scuola elementare del quartiere milanese di Gorla, colpita dalle bombe sganciate da un aereo inglese il cui comandante, dopo aver sbagliato rotta e obiettivo, pur sapendo di non sorvolare impianti militari, aveva fatto una scelta ignobile essendo infatti consuetudine scaricare in aperta campagna le bombe – nel caso in questione erano trecentoquarantadue da duecentocinquanta chili l’una – che, tutte già innescate, era impossibile riportare a Foggia, da dove gli aerei erano decollati per andare a colpire lo stabilimento milanese della Breda.
Ero ragazzino, ma ricordo bene perché il Natale era la nostra festa, così per tre anni di fila mi colpì il presepio di cartone come sostituto di quello di famiglia distrutto nella nostra casa di Milano colpita da uno spezzone incendiario; mi dispiaceva pure l’assenza di automobiline a molla e del tradizionale trenino – nonno Pietro era un tecnico delle Ferrovie dello Stato – invece era abbondante la presenza di indumenti per me e mio fratello, frutto dello sferruzzare
diligente e preciso di mia madre. Anche i pranzi di Natale erano in linea con l’austerità, ma devo dire che c’erano delle agende della Cirio che ogni giorno suggerivano ricette del tempo di guerra alle massaie, alle quali a Natale riusciva sempre il miracolo di qualche piatto “nuovo” e di trovare farina , uova e zucchero per una decorosa torta.
Gli adulti si sforzavano di creare una atmosfera particolare per veder sereni noi ragazzi, ma poi le raccomandazioni fioccavano sempre e finivano per riportarti a quella che era guerra anche per noi perché non era di certo una favola l’arrivo improvviso di un aereo che a bassa quota mitragliasse tutto e tutti.
Quando gli attacchi aerei diminuirono si era verso la fine della guerra, ma nel frattempo era aumentata di intensità l’azione dei partigiani e degli antifascisti. Non ne sapevo nulla di questa attività, nella quale era coinvolto papà Silvio, ma resta ancora un mistero per me il segreto rispettato da me e dai miei cugini sul vietatissimo ascolto di Radio Londra, ogni sera sul tardi dopo cena. La radio, una vecchia Marelli, era nel locale dove dormivamo noi ragazzini che avremmo sempre tenuto il massimo riserbo su quello che ci era stato spacciato per un “ importante momento” di famiglia. Siamo stati ligi alla parola data sino a non discuterne nemmeno tra di noi.
Il Natale oggi anche se c’è la crisi non può apparire motivo di amarezza. E nessun ragazzino si sente tenuto al segreto se ascolta Giuliano Ferrara a Radio Londra. Semmai, se è attento, capisce in quale misura noi italiani si sia bravi a farci del male, a creare le premesse per un Natale non sereno.
Il mio personale augurio a tutti gli amici di Rmfonline.it è di un Natale di speranza.
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