Alla fine degli anni Quaranta – inizio Cinquanta il sogno natalizio di quasi tutti i bambini era il trenino elettrico. Un sogno proibito ai più perché erano molto costosi i trenini che sembravano la riproduzione miracolosa dei treni veri, quelli che si vedevano nelle stazioni grandi come la Centrale di Milano, molti ancora trainati da locomotive a vapore nere con gli stantuffi profilati di rosso. Facevano immaginare mondi lontani, città mitiche come Roma e Parigi, luoghi di sogno come la Costa Azzurra che capitava talvolta di ammirare, per qualche manciata di secondi, al cinema negli intervalli scanditi dai cinegiornali.
Il treno era una promessa di evasioni, di avventure, di lontananze, il solo pensiero alleviava, in quegli interminabili inverni, il tran tran duro della scuola, dei compiti a casa, la severità, talvolta autoritaria, di un mondo adulto dove i ragazzini avevano molti doveri e assai pochi diritti. Per queste ragioni i trenini in miniatura erano per moltissimi di noi molto di più di un giocattolo geniale, un capolavoro di tecnologia. In quella lontana Varese del dopoguerra due erano i negozi in cui si materializzava il sogno elettrico: Verga, in versione popolare rispetto a quella odierna, e Vassalli che, all’inizio di Corso Matteotti, occupava spazi oggi di un affermato Centro di ottica. Il primo sgomberava una vetrina da piatti, pentole e scodelle e vi piazzava un modellino giocato piuttosto in verticale che entrava e usciva da gallerie affondate nel muschio, si fermava al semaforo rosso e al passaggio a livello per poi far sosta in una deliziosa stazioncina di disegno nordico ravvivata da una balda schiera di Babbi Natale. Il secondo, disponendo di una luce di vetrina piuttosto grande allestiva più linee, una dentro all’altra con sincronie di incroci e scambi a dir poco esaltanti. Con gli amici si faceva la spola da una vetrina all’altra infagottati in cappotti pesanti come macigni, spesso ereditati dai fratelli maggiori, e il confronto dei gusti e delle valutazioni era serrato. Tutti coltivavano la speranza di trovarselo il trenino sotto l’albero o davanti al presepe ma nessuno osava dirlo e tanto meno scriverlo nelle lettere che si spedivano a Gesù Bambino anche quando si era ormai consapevoli che i veri destinatari erano i genitori.
Non lo chiesi mai il trenino, ma in quel lontanissimo Natale del 1949 me lo ritrovai montato e sfrecciante sul grande tavolo della sala da pranzo. Ci avevano pensato mio padre ad acquistarlo e i miei fratelli a montarlo. Quel treno tanto sognato lo conservo ancora in buone condizioni. Quando apro la robusta scatola di cartone che lo ospita mi sembra che la sua magia mi prenda come allora. Un conoscente, appassionato di modellismo dice che potrei, vendendolo a qualche collezionista, ricavare parecchi soldi. Ma i sogni non si vedono, men che meno quelli realizzati.
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