Nel 1567, nel pieno dell’attività di riordino della Diocesi milanese voluta da San Carlo, il visitatore Giovanni Battista Castano giunse anche a Leggiuno. Dopo aver visitato l’antichissima pieve di Santo Stefano e la chiesa dei Santi Primo e Feliciano, con le preziose reliquie dei martiri che vi erano giunte da Roma in epoca carolingia, incominciò il giro delle cappelle di campagna. Arrivato a Sangiano, allora un piccolo nucleo di abitazioni circa ad un quarto di miglio da Leggiuno, visitò la cappella di Sant’Andrea. Era un edificio antico, esistente almeno dalla fine del Duecento, ma come tanti altri versava in pessime condizioni. “Non vi si celebra la Messa, perché è tenuta malissimo e non ha redditi” constatò il visitatore.
Poteva essere l’occasione per sconsacrarla ed abbatterla, come accadde a tante altre chiesette medievali del nostro territorio. Ma a Sangiano la storia prese una piega diversa. Cinque anni dopo, quando San Carlo in persona passò di lì, registrò tanti guasti, il tetto che faceva acqua, il pavimento diseguale e persino la mancanza della porta, ma raccolse anche le intenzioni positive degli abitanti del luogo.” La cappella maggiore – notò il suo scrivano nel solito latino burocratico – è diroccata, ragione per cui gli uomini del luogo, a loro spese, vogliono ricostruirla e renderla più lunga”.
Detto, fatto. Con una velocità che colpisce, dati i tempi difficili e la povertà della popolazione, si mise mano all’opera. Nel 1578 la ricostruzione della zona del presbiterio e dell’abside era quasi finita, anche se le pareti risultavano ancora in parte diroccate. Quando un altro visitatore, l’Albergati, ripassò da Sangiano nel 1596 annotò diligentemente che “Le pareti un tempo erano distrutte, ma adesso sono state riparate grazie all’opera degli uomini di questo luogo. Poi passò a descrivere i nuovi affreschi che ornavano l’abside appena rifatta, con le immagini di Cristo risorto, della Madonna e di numerosi santi.
Proprio questi affreschi costituiscono ancor oggi il maggior motivo di interesse della chiesina. Datati aprile 1592, recavano il nome del committente e, probabilmente, quello del pittore. Purtroppo, l’inserzione nel muro di un tabernacolo moderno ha cancellato parte della scritta. Riusciamo soltanto a leggere che il committente era un uomo di Arolo, figlio di un tal Giovanni non meglio specificato. C’è poi un secondo nome, quello di un Giovanni Giacomo che molto probabilmente era il pittore, ma di cui al momento non possiamo sapere nulla di più.
Di certo gli affreschi mostrano dei soggetti molto particolari, che uniscono elementi tradizionali ad altri molto innovativi. Appartengono alla tradizione i Santi, scelti tra quelli più amati: il patronodel del paese Andrea, Rocco e Sebastiano, aiuti preziosi in anni di pestilenze, Antonio Abate, protettore degli animali domestici, Liberata, invocata dalle donne incinte, e poi Defendente e Pietro, oggetto di una forte devozione locale. Ma sopra l’altare campeggia la scena inconsueta dell’incontro tra Cristo Risorto e la Madonna, una scena narrata soltanto dai Vangeli Apocrifi, che però all’inizio del Seicento stava conoscendo una notevole fortuna nei centri più importanti dell’arte italiana. E l’immagine di Cristo riprende un modello molto illustre, quello del Risorto di Michelangelo nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
In che modo questi venti di novità sono giunti fino a Sangiano, per poi essere tradotti in forme piuttosto popolaresche dall’ignoto pittore? È uno dei piccoli misteri della storia dell’arte locale, che mostra però come anche zone che noi percepiamo come decisamente periferiche fossero coinvolte nella circolazione di uomini e di idee.
Un’occasione di vedere gli affreschi di Sant’Andrea, compresi i frammenti superstiti della decorazione quattrocentesca, c’è stata in occasione del primo incontro di un ciclo curato dell’associazione storico-culturale Lezedunum, che propone altre interessanti occasioni.
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