“Stai scrivendo il commento politico alle elezioni europee?”. Sebastiano domanda e suggerisce.
“No, faccio fatica a districarmi tra sorpresa, trionfalismo, disincanto, delusione e Maalox. Poi, non voglio scrivere di politica, dando ragione a questo o a quello. Lo sai, non è lo spirito delle Apologie. Di solito cerco di far uscire dall’apparenza delle cose un significato più profondo, mi riesce difficile. Non mi aiutano nemmeno i commenti così diversi dei politologi. Non mi va di ripetere quello che ha detto qualcun altro, per esempio, che l’elettore è diventato liquido, non deve mutare convinzioni per mutare voto. I partiti non hanno più un’identità definita, tanto meno gli elettori”.
“Bella scoperta – continua a provocarmi il Conformi – le ideologie sono morte da un pezzo e, a loro volta, erano solo il surrogato di più profonde identità. L’ideale che due secoli fa Manzoni sognava per l’Italia: ‘una d’armi, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di suol’ è durato lo spazio di un respiro, poi pomposamente chiamato risorgimento. La liquefazione viene da lontano, dal trasformismo ottocentesco, dall’accettazione del fascismo, che da minoranza esigua trasforma, apparentemente, la quasi totalità degli italiani in “fascistissimi”, per ritrovarseli tutti antifascisti dopo l’otto settembre. Solo dal ’48 all’83 c’è stata una stabilità sostanziale dell’elettorato, ma la causa è stata la divisione dell’Europa nei due blocchi mondiali, cui corrispondeva la contrapposizione tra le classi sociali.”
“È un giudizio troppo sommario – provo a rispondere –i partiti della Costituente avevano, dentro e dietro di sé, ciascuno una forte caratterizzazione culturale e ideale, non solo la DC e il PCI, nemmeno loro riducibili agli elementi portanti della lotta di classe. Avevano una identità ben più ricca della contingente proposta politica ed è questo che ha consentito loro di durare quasi cinquant’anni.”
“No, non sono d’accordo – Sebastiano rincara la dose – pensa all’errore compiuto dalla CEI quando si illuse, per due volte, con i referendum sul divorzio e sull’aborto, di poter avere un consenso maggiore di quello della DC, che aveva giudicato troppo debole: i vescovi scoprirono di essere minoranza culturale nel Paese. E lo stesso vale per gli altri. Dove sono andate a finire, se mai hanno avuto una reale influenza, la cultura laica, liberale o mazziniana o quella riformista, o quella nazionalista non fascistizzata; la dissoluzione dei partiti tradizionali dopo il ’94 ne ha mostrato l’evanescenza. Non chiedermi dove sono finiti i loro elettori e non chiedermi dove sono finiti i voti dei cattolici, oggi, o dove finirebbero di fronte a un elezione che mettesse in gioco i famosi “principi irrinunciabili”. Credo, temo, che non si ritroverebbero in unità, né in un partito e forse nemmeno in uno schieramento di alleati. E alla fine – sbuffa, si alza dalla sedia, gira intorno al tavolo, sospira – è meglio così. Meglio così, soprattutto per la Chiesa.”
Vorrei ribattere che una legge è giusta o no indipendentemente dalla maggioranza, che la democrazia è essenzialmente un metodo e non la fonte della legittimazione e altre certezze della dottrina sociale, ma mi accorgo di essere in imbarazzo: se anche convincessi lui, in forza della sua fede e della sua cultura di base, non convincerei i milioni di elettori cattolici della “diaspora”. Non rispondendo subito, gli lascio l’occasione di ricominciare.
“Ti sarai ben reso conto che a Renzi è arrivato all’ultimo momento un consistente “soccorso bianco”. I sondaggisti non avevano sbagliato del tutto e avevano anche avvertito che ci sarebbe stato un voto dell’ultimo minuto. Ma sono stati tratti in inganno anche da una specie di vergogna, da una dissimulazione del voto di contrapposizione a Grillo, un voto di paura, che gli elettori hanno tenuto nascosto anche negli exit polls. Hanno detto a se stessi ‘meglio Renzi di Grillo’. E non pensi che anche il recupero della lista Tsipras, piccolo in assoluto, ma grande nella proporzione, non sia venuto dall’interno del PD, per mantenersi un puntello a sinistra, una sponda contro Renzi?”.
“Insomma, vuoi dire che sempre più saranno fattori contingenti a determinare il voto, che non c’è speranza, né in Italia né in Europa di vedere compresi e valorizzati i programmi migliori, più razionali e più realistici e che dobbiamo rassegnarci a dare e ricevere colpi bassi, a usare spregiudicatamente i mezzi di comunicazione, ad aspettarci “giustizia ad orologeria” e ad usare qualsiasi altro strumento di lotta politica, purché efficace?”.
Adesso è il turno di Sebastiano ad essere in imbarazzo. Lo so, il cinismo non è da lui. Prova a cavarsela con la battuta che non ha usato settimana scorsa: “Vorrai vincere o perdere? Scegli tu!”.
Io so che vorrei vincere, ma non a tutti i costi, come ha detto il Papa alla giornata della scuola, riprendendo le parole di un ginnasta, mica di un filosofo moralista “Meglio perdere bene che vincere male”. Accetto di perdere, ma non sempre e non senza aver cercato di vincere e di far vincere una proposta migliore. L’elettore liquido, l’ho capito bene, non ha tutti i torti, non è una piuma portata dal vento, è il nuovo signore e padrone della politica. Si deve riuscire a parlargli, al cuore e alla ragione e non solo all’istinto di sopravvivenza e di reazione, si può cercare di raggiungerne qualcuno, di solidificarlo, di educarlo, cioè di farlo entrare in una relazione stabile, di trasformarne la rabbia in speranza, la speranza in certezza e fiducia. Naturalmente, non è una necessità e un compito solo della politica, ma dell’economia, dell’impresa e del sindacato, della scuola, dell’università e della cultura, di tutto ciò che vive di relazione, cioè di tutti.
E se è indispensabile per quei partiti che domenica sono rimasti piuttosto all’asciutto, ancor più è un’occasione da non perdere per chi si è fatto una piacevole doccia di “elettori liquidi”.
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