Il crollo del sistema bancario verificatosi dal 2008, con il potenziamento conseguente del debito pubblico e della disoccupazione, ha certamente travolto molti paesi d’Europa, specialmente quelli che si affacciano sul Mediterraneo. E le cure da cavallo praticate per l’immediata necessità hanno fortemente condizionato la capacità di ripresa. Solo la Germania e i Paesi nordici non ne hanno risentito in misura preoccupante, anche grazie ai provvedimenti preventivi (la Germania espandendo anzi le proprie esportazioni oltre ogni aspettativa). Gli egoismi nazionali si sono ridestati a dispetto d’ogni faticosa ricerca d’armonizzazione politica e l’euroscetticismo largamente diffuso nell’ambito dell’opinione pubblica.
Sono state decisive nel fiaccare ogni spirito di solidarietà le elezioni regionali tenute in Renania Settentrionale – Vestfalia, che hanno distratto l’attenzione dalla gravissima crisi greca.
L’unica politica di difesa è stata esercitata dalla BCE, ma non sono entrate in funzione misure comuni di rilancio dell’economia grazie a strumenti di riequilibrio come gli eurobond e politiche interne concepite nell’ottica dell’interesse comune (contrastata dalla Germania per l’ossessione inveterata di una possibile inflazione galoppante). Non ci si conforta per l’allargamento dell’Unione Europea ad Est, con l’aggiunta di circa 80 milioni di cittadini, ora posti sulla via dello sviluppo in condizioni di pace. Si vive da molti la globalizzazione non come un’opportunità, bensì come una sciagura, ma i cambiamenti profondi della storia non si possono e debbono affrontare con gli scongiuri. Il passaggio in Europa da una linea di centrosinistra prevalente a una di centrodestra (con interventi meno efficaci di welfare e il dilagare del principio del massimo profitto col minimo di regole quale miglior criterio di organizzazione dell’economia e una civiltà dei consumi orientata allo spreco) è stato decisivo. Non giova ora un eccesso di realismo ripiegato su di sé. Perdura la battaglia tra cieco istinto di conservazione dei privilegi acquisiti e uno spirito di doverosa solidarietà.
Il dibattito democratico è risultato del tutto insufficiente, per lo più purtroppo filtrato dai media (l’allargamento delle lingue ufficiali dal 2004 da dodici a ventuno non ha favorito certo lo scambio delle opinioni) e non si è sviluppato il necessario dibattito dei partiti a livello continentale. Non si è risolto con l’instaurarsi della linea eurofredda il dualismo tra il presidente del Consiglio dei ministri e quello della Commissione (non dotata degli indispensabili poteri autonomi di pronto intervento).
Così l’Europa si è vista diminuire d’efficacia il suo ruolo nel mondo: si pensi che la Cina, dopo avere confidato in un impegno delle proprie riserve nella direzione euro-dollaro si è convertita in quella dollaro-renminbi.
Ora non possiamo chiuderci in una meschina sopravvivenza, senza tener conto della politica dissennata di spesa attuata nei decenni e del debito cui irrimediabilmente dobbiamo fare fronte per aprire un avvenire alle giovani generazioni. I tassi di interesse e l’inflazione alle stelle senza l’euro determinerebbero solo caos nell’industria e il ritorno alle svalutazioni competitive. Di qui l’impegno ad elaborare nella speranza strategie non facili di lungo periodo, a studiare adeguati meccanismi collettivi per l’esercizio di una solidarietà sovranazionale grazie a una prospettiva politica condivisa (ritorno alle origini per corrispondere a quella vocazione).
Le dinamiche non possono più ridursi a quelle intergovernative. Urge in termini immediati l’esistenza di un organo rappresentativo veramente unitario. Va ridisegnato l’insieme delle istituzioni, va capita l’importanza (specialmente dopo l’instaurarsi della crisi ucraina ) di una politica energetica comune. Gli USA peraltro non hanno più il concetto di mondo unipolare che avevano ai tempi di Bush. E gli investimenti devono godere della priorità assoluta.
Per tutto questo è opportuno lo stabilirsi di un concerto in sede europea tra la coalizione Partito popolare e quella dei Socialisti – democratici. Sia dominante la preoccupazione per i nuovi poveri, una cultura di moderazione ispiri un’economia sociale di mercato e le politiche ambientali. Ritornino in campo i principi di sussidiarietà, solidarietà, rispetto della dignità umana, e l’attenzione all’istituto della famiglia. Ci qualifichino l’accoglienza e l’integrazione dei migranti e richiedenti asilo (a Bruxelles si è piuttosto sordi in proposito), l’intesa relativa al cambiamento climatico e alla sostenibilità delle misure in termini di crescita e sviluppo, dato l’impatto del cambiamento demografico, l’instaurarsi di una autentica libertà religiosa in un clima di tolleranza e di dialogo.
Queste le linee di una operatività che ci riguarda: prima ancora di chiederci che cosa l’Europa ci possa e debba dare (al momento non sappiamo neppure gestire e impiegare i fondi di ristorno) ci dobbiamo chiedere: in che modo e misura possiamo e dobbiamo spenderci per una nuova Europa?
You must be logged in to post a comment Login