Dopo la fine della seconda guerra mondiale un gruppo di personalità della politica e della cultura – Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi oltre a Luigi Einaudi e Altiero Spinelli – ebbero l’intuizione di integrare i Paesi europei in una unica Comunità. Federare i popoli e gli Stati era visto come un rimedio alle esasperazioni nazionalistiche che avevano trascinato il mondo, nell’arco di soli trent’anni, in due sanguinosi conflitti con milioni di vittime. Erano morti che pesavano sulla coscienza europea e sulle generazioni che avevano subito l’esperienza terrificante della guerra totale.
I primi passi furono utili ma parziali: Francia e Germania misero in comune le risorse per cui si erano combattute per secoli, mala Comunitàdel carbone e dell’acciaio (CECA) non prevedeva istituzioni espressive di unità politica.
Un salto di qualità fu il progetto di una Comunità di difesa (CED) che prevedeva l’ unificazione degli eserciti nazionali e l’elezione di un Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini e che fu patrocinato con particolare impegno dal Presidente del Consiglio italiano. Il progetto si arenò nel 1953 per il voto contrario dell’Assemblea nazionale francese.
Gli europeisti dopo quel voto proseguirono nel cammino dell’integrazione ma dovettero abbandonare l’obiettivo dell’unità politica in favore dell’unità economica. Fu uno scoglio che deviò il progetto dell’Europa dei popoli sostituendolo con quello dell’Europa dei mercati.
Tuttavia la nuova strada ebbe successo; furono realizzati il mercato comune, l’abolizione delle dogane, la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. Si andò oltre la sfera economica:la Corteeuropea riconobbe importanti diritti per i cittadini. In pratica nacque una comunità non solo economica, ma anche di principi e di valori che fu coronata, negli anni Settanta,
dall’elezione diretta del Parlamento europeo.
La costruzione europea ebbe un largo consenso da parte dei cittadini che, tramite le istituzioni nazionali e in qualche caso con consultazioni popolari, approvarono democraticamente e pacificamente tutte le istituzioni comunitarie. L’Europa divenne il secondo mercato mondiale.
Il passaggio dalle generazioni che avevano vissuto l’esperienza tragica delle guerre a quelle che non ne avevano più una memoria diretta ebbe però un peso determinante nel cambiare le priorità degli Stati nazionali.
La tutela degli interessi di ciascun Paese ebbe la meglio sulla volontà di integrazione politica che comportava una cessione di sovranità e la crisi economica degli ultimi anni, con gli effetti negativi sul lavoro e sul reddito, ha trasformato il consenso verso l’Unione europea, in quanto fonte di benefici, in un aperto dissenso se non in ostilità. I popoli europei non accettano le misure di austerità finalizzate alla riduzione degli enormi debiti pubblici causati dalla spesa facile. Non ci si rende conto che non sono stati i provvedimenti, concordati a livello europeo dagli Stati nazionali, a creare situazioni di innegabile disagio, ma è stata la ritrosia dei vari governi ad attuare le riforme necessarie ma impopolari a creare una situazione di decrescita economica; i Paesi che hanno fatto le riforme hanno superato più facilmente la crisi mondiale, la più grave dopo quella degli anni Trenta. La moneta unica europea, l’euro, nacque sulla base di una pericolosa illusione: quella che bastasse il coordinamento delle politiche nazionali per evitare squilibri al sistema monetario europeo. Non mancarono voci autorevoli per invocare maggiori competenze e adeguati strumenti di politica economica, bancaria e fiscale onde evitare gli inconveniente che poi effettivamente si verificarono. Furono i governi nazionali ad opporsi ad una maggiore integrazione per difendere i proprio poteri e le proprie competenze, salvo poi a non usarli per non compromettere il consenso elettorale.
In questo nuovo clima culturale e politico, assai lontano dai principi federalisti originari,la Costituzioneeuropea, elaborata dalla apposita Convenzione tra il 2002 e il 2003 che portava non poche novità fu bocciata dai referendum popolari svoltisi in Francia e in Olanda. Soltanto dopo quattro anni buona parte dei suoi contenuti, trasformati in emendamenti dei precedenti trattati, venivano approvati con il nuovo trattato di Lisbona del 2009.
Questo dice a sufficienza del mutato clima politico-culturale che vede tuttora i governi nazionali ribadire le loro prerogative con la precisazione che “nulla di ciò che si legge nel trattato cancella o riduce le competenze nazionali esistenti”. L’Europa ha le mani legate dagli Stati nazionali; essa ha fronteggiato la crisi con le procedure intergovernative di cui dispone, introducendo però alcune novità come il Meccanismo europeo di stabilità che è riuscito a controllare la situazione evitando la crisi dell’euro e la probabile disintegrazione dell’Unione Europea.
Un fatto è certo, l’Unione Europea così com’è, è lontana dalle aspirazioni dei cittadini.
I populisti propongono un ritorno all’indietro, l’uscita dall’unione monetaria; ma i guai in cui finiremo tornando alle monete nazionali sono ben superiori ai presunti benefici; la loro affermazione costituirebbe una delegittimazione del Parlamento e rafforzerebbe il metodo intergovernativo a scapito della logica comunitarie e federalista.
Gli europeisti puntano invece ad una vera integrazione politica per recuperare i valori originari che furono alla base della sua creazione.
Alla fine del Novecento l’Europa si era liberata dal suo terribile passato, nel mondo globalizzato di oggi la sua unità è ancora necessaria per fronteggiare le nuove sfide del futuro.
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