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Cara Varese

QUELLA VOLTA CHE BOSSI

PIERFAUSTO VEDANI - 16/05/2014

Quando gli uomini hanno un capo che ritengono all’altezza del compito si esaltano. Se questo capo si presenta ai loro occhi come profeta credibile e magari invincibile, lo ritengono un tesoro, che come tale va anche difeso e preservato.

Dalle nostre parti negli ultimi decenni la ribalta come uomo forte se l’è presa Umberto Bossi. Si era annunciato con un messaggio politico dirompente, teso a suscitare in chiave localistica i sacri egoismi risorgimentali, via gli austriaci ieri, via i terun oggi. In molti gli credettero, avevano visto in lui l’uomo nuovo: e così Umberto Bossi si lanciò nella lotta forte di un consenso che visibilmente cresceva. Il leader leghista ebbe anni di duri impegni, di soddisfazioni, anche di inciampi, ma comunque davvero ruggenti sino a quando non si ammalò. Non solo per lui, ma anche per i familiari e i militanti della Lega, il momento non fu facile. All’ospedale di Cittiglio gente svelta e preparata gli salvò la vita, poi superata l’emergenza, il senatur venne ricoverato a Varese, al “Circolo”, dove c’erano a disposizione più specialisti e una più vasta gamma di tecnologie.

Non solo a Cittiglio, ma anche a Varese per iniziativa della Lega si era provveduto a vigilare sulla tranquillità dell’ammalato. A Varese però, poco dopo il ricovero, ci furono tensioni nel “cerchio magico” del senatur, talune riguardarono il sistema di assistenza e cura, altre la sicurezza del paziente. Per esempio ci fu una contestazione perché provette e flaconi degli esami clinici di Bossi “viaggiavano” sullo stesso carrello di altro degenti del reparto. Il direttore sanitario era stato appena cannoneggiato ad alzo zero per questo problema, quando il senatur fu prelevato e, se non ricordo male, portato nel Canton Ticino.

Le ragioni dell’improvviso, inatteso e segreto trasferimento in autoambulanza di Bossi, avvenuto con l’adesione, se non per precisa scelta, dei familiari, furono fatte risalire ai suoi fedelissimi che genericamente temevano per la sua vita, non si escluse però che nella cerchia dei fedelissimi qualcuno fosse in possesso di indizi in base ai quali non fosse prudente scartare l’eventualità di un attentato.

Una terza ipotesi: la sicurezza come pretesto per ovviare a procedure e profili di cura non giudicati soddisfacenti. Sarebbe interessante conoscere le vere ragioni della “fuga” del degente Bossi dall’ospedale di Circolo. Gli anni successivi ci hanno detto che Umberto Bossi ritornò in campo e si batté con lo spirito di sempre, ma i leoni feriti, anche se non cedono, sono attesi dal declino.

A causare il declino di Bossi non furono però provette alla portata di tutti nei corridoi dell’ospedale o trame oscure e pugnali luccicanti nell’ombra, si trattò infatti di scelte e comportamenti errati di chi era più vicino al leader del Carroccio e gli era quindi sinceramente fedelissimo. Episodi che ancora oggi ricordano a tutti coloro che sono in politica la necessità assoluta di preservare la sacralità dell’ immagine personale e del proprio team. Prima, durante e dopo le varie stagioni dell’impegno pubblico.

 

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