L’inquilino di Palazzo Estense è un po’ nervoso sull’affaire Prima Cappella e all’inaugurazione del museo Pogliaghi alza la voce con chi, come noi, critica il progetto comunale, poi telefona cortesemente per scusarsi e preannuncia una nuova perizia sul progetto del parcheggio. È un gesto apprezzabile e sgombera il campo dal dubbio che, dopo due mandati di fila, sia così immedesimato nel ruolo da credersi Francesco III d’Este. Chi sta al piano nobile dell’antica dimora ducale non può evitare il dialogo (e le polemiche) con i cittadini. Se qualche decisione fa discutere a chi, se non a lui, la stampa e la comunità possono chiederne ragione? Egli lamenta che i detrattori dell’autosilo non vadano a parlarne nel suo ufficio – “che è sempre aperto”, tiene giustamente a precisare –, ma che cosa c’è di meglio del dibattito giornalistico per discutere i progetti pubblici?
L’accusa ai cronisti “dissenzienti” di avere secondi fini politici non regge; e neppure quella di prestarsi alla strumentalizzazione dei vecchi furbacchioni della politica che sfruttano il “casus belli” per perseguire obiettivi personali. A noi sembra che i fini politici – primi o secondi – siano il pane quotidiano di chi quel mestiere lo fa di professione. Immaginiamo che qualche partito vorrà presentarsi alla prossima consultazione elettorale, amministrativa o politica, locale o nazionale, con il biglietto da visita del parcheggio realizzato all’imbocco della Via Sacra, un risultato magari capace di far vincere le elezioni. Non importa se con qualche piccolo rischio al patrimonio artistico del Seicento. È l’aspetto pragmatico della politica.
Il fine giustifica i mezzi (che si utilizzano per ottenerlo), raccomanda l’astuto esule fiorentino e da che mondo è mondo la politica decide e la stampa può solo cercare di farsi sentire. I giornalisti danno voce alla pubblica opinione e, in questo caso, molti varesini temono che la costruzione del parcheggio metta a rischio la tenuta strutturale della chiesetta dell’Immacolata. Si obietta nei corridoi di via Sacco che oggi esistono esplosivi per le “demolizioni controllate” capaci di abbattere un edificio senza toccare quelli che gli stanno attorno. Le nuove tecnologie fanno miracoli, si osserva: ma che bisogno c’è di affidarsi ai miracoli quando si può fare a meno di rischiare? Il borgomastro farebbe brillare esplosivi sotto le antiche finestre e i preziosi stucchi estensi? A venti metri dalla sua poltrona?
Varese ha ereditato, insieme al palazzo del Duca, un luogo di devozione che richiama al monte milioni di visitatori incantati e stupefatti da oltre quattro secoli. È un tesoro d’arte e di storia di cui anche Francesco III si vanterebbe ricevendo una delegazione straniera o partecipando a un mercato internazionale. È dovere dell’amministrazione conservare ciò che ha ricevuto “in prestito” e consegnarlo intatto alle future generazioni, non metterlo a rischio – neppure soltanto a rischio – per alcuna ragione, meno che mai per un parcheggio destinato a contenere automobili, non opere d’arte. Il nostro parere è che sia meglio trovare un altro posto, di fianco, più in basso, più in alto, purché lontano da chiese e oratori del Seicento.
Lo diciamo con tutto il rispetto possibile: ci preoccupa di più l’eredità del Bernascone che quella della giunta municipale.
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