C’è trattativa e trattativa. Quella dello Stato con la mafia e quelle del calciomercato, quelle con le brigate rosse e quelle con le brigate rossonere, quelle per l’elezione del Senato e quelle per il controllo della curva… Per una settimana la “trattativa” con gli ultras del tifo napoletano ha tenuto il campo della principale notizia di cronaca politica, diventando di volta in volta il simbolo della debolezza dello Stato, uno scandalo internazionale, il cattivo esempio della gestione dell’ordine pubblico, la brutta figura del Presidente del Consiglio e del Presidente del Senato, placidamente assisi in tribuna, l’occasione della discesa in campo del Presidente della Repubblica che ha proclamato: “non si tratta con i facinorosi”, sfiorando il rischio dell’ovvietà. A me sembra invece che tutto il sistema mediatico abbia gonfiato un fatto di scarso rilievo, la trattativa, intendo dire, non gli scontri in piazza e il ferimento, che restano una cosa grave, tutta da chiarire, specialmente per lo strano caso che il primo soccorritore del ferito sia stato proprio Genni a carogna.
Mi sembra che si sia caduti in pieno nel ridicolo, anche semplicemente nel parlare di trattativa, una cosa che presuppone uno scambio, (io do una cosa a te, tu dai una cosa a me) che, a sua volta, sarebbe illegittima se fosse illegittimo l’oggetto dello scambio.
Nel nostro caso, non c’è stata trattativa perché non c’è stato scambio. Stabilita da parte della Questura la circostanza che l’incolumità delle persone allo stadio e degli abitanti dei dintorni sarebbe stata meglio garantita dallo svolgersi della partita, si trattava di convincere la tifoseria ad accettare il normale svolgimento della stessa invece di invadere il campo per sospenderla e di mettere a ferro e fuoco il quartiere appena fossero usciti dallo stadio. A costo di una mezza bugia, quella di sostenere che l’episodio del ferimento non fosse collegato con manifestazioni di tifo ultras. A costo di turarsi le orecchie per non sentire i fischi che hanno accompagnato l’esecuzione dell’inno nazionale.
Tutto è bene quel che finisce bene, il Napoli ha pure vinto con pieno merito, smentendo le ridicole preoccupazioni del telecronista sportivo circa il mancato riscaldamento del suo capitano Hamsik, duramente impegnato nella ‘trattativa’.
Eh, no.
C’era il problema della forma. Una cosa è tranquillizzare i tifosi, anche con quella mezza bugia, una cosa sarebbe stato un colloquio con gli esponenti del tifo organizzato in un luogo tranquillo e riservato. Una cosa ben diversa è invece parlare sotto gli occhi di tutti con Genni a carogna, abbigliato con quella maglietta-messaggio, a cavalcioni della rete, sotto gli occhi delle telecamere in connessione con mezzo mondo: un esplicito riconoscimento del ruolo del suddetto, una smisurata dilatazione del suo messaggio di solidarietà con l’assassino di un servitore dello Stato.
Occorre quindi rimediare al danno fatto, impedire la propagazione virale di sfide intollerabili, quale la ventilata esibizione alla prossima partite di magliette – messaggio simili a quella, sanzionare pesantemente il lancio di bengala e di bombe carta all’interno dello stadio… a proposito, come hanno fatto a superare i controlli di sicurezza, quelli che impediscono a un tifoso esagitato come me di portare il tappo della bottiglietta di acqua minerale, per evitare che diventi un pericoloso proiettile (incuranti del fatto che potrei avere un altro tappo in tasca o nell’elastico delle mutande)? E per le magliette, faremo sbottonare la camicia a tutti, ragazze comprese? E se comparissero tante magliette bianche, cercheremo nelle tasche per verificare che non vi siano pennarelli con cui scrivervi sopra frasi inopportune? Ma non vi risulta che le telecamere possono inquadrare tutti quanti e che il Ministero dell’Interno disponi di sistemi informatici di riconoscimento che potrebbero identificare i facinorosi?
Tanto basta? NO!
No, non si può dimenticare che la repressione fine a se stessa non produce nessun reale cambiamento, nemmeno nel singolo individuo, figuriamoci nella folla, anzi, spesso produce l’effetto opposto. Non si colpisce uno per educarne cento, è lo slogan dei sistemi totalitari, si tratta di educare tutti.
L’emergenza nazionale non è nello stadio, ma a scuola. Consentitemi il paragone e lasciatemi fare appello alla mia esperienza di pendolare delle ferrovie e ai racconti degli autisti della società di trasporto pubblico che dirigo: il comportamento di sfida di tanti ragazzi sui mezzi pubblici non è dissimile nei fatti e nelle motivazioni da quello di Genni e dei suoi accoliti. È solo esempio tra i tanti possibili.
“E tu cosa proponi di diverso?” Insiste il solito polemico Sebastiano Conformi.
Occorre ricordare a tutti che l’emergenza nazionale è l’educazione. Per questo scopo ci sarà in piazza, sabato a Roma, ben più di uno stadio, una manifestazione che radunerà, spero, l’equivalente di due o tre stadi, non a protestare contro il governo, ma a riflettere con papa Francesco, in piazza san Pietro, sul bisogno di educazione che hanno i nostri figli e nipoti e su come la scuola, tutta la scuola, non solo quella cattolica e non in modo ingiustamente privilegiato quella statale, possono assicurare alle famiglie la realizzazione di un’efficace alleanza educativa.
Sarà l’inizio di una trattativa? Sì, di una trattativa da fare, di una trattativa buona, di quelle che si concludono con un beneficio per entrambe le parti, una di quelle occasioni, purtroppo rare, che non vedono contrapposti Stato e persona, ma alleati.
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